Il termine romcom indica un sottogenere della commedia anglosassone all’interno della quale i protagonisti del racconto, pur non nutrendo inizialmente alcuna attrazione reciproca scoprono, dopo una serie di peripezie, di amarsi. Ridotto all’osso, l’impianto narrativo de "What’s Love Got to Do with It?", pur rientrando nello schema suesposto, si arricchisce tuttavia di un’ulteriore serie di tematiche che trascendono il rapporto a due e investono lo spettatore della responsabilità di enucleare dalla pellicola spunti di riflessione critica sul rapporto tra culture differenti e sulla relazione tra genitori e figli.
A essere al centro dell’opera di Shekhar Kapur, regista che ha fatto parlare di sé soprattutto per il dramma storico "Elizabeth: The Golden Age" (2007), non è tanto l’amore quanto il matrimonio, come istituto sociale e pietra angolare della cultura nella quale si iscrive. Che sia questo il focus del film lo dimostrano le citazioni cinematografiche presenti al suo interno. La protagonista Zoe accenna infatti fugacemente a "Il mio grosso grasso matrimonio greco" (e dunque al rito celebrato secondo la tradizione tipica di quel paese europeo) e alla celeberrima commedia "Harry, ti presento Sally" (1989). Non solo, ma durante il film uno dei personaggi vede alla televisione qualche fotogramma tratto da "La finestra sul cortile", l’opera di Hitchcock che, pur rientrando nel genere del thriller, è caratterizzata da una trama intessuta di riflessioni sul matrimonio. Allo stesso modo, il regista pakistano di "What’s Love Got to Do with It?" inserisce nel rapporto tra Zoe e Kaz, e nel dialogo che si instaura tra i rispettivi familiari, un continuo interrogare e interrogarsi su tale tematica.
Zoe è una giovane documentarista che, ricevuto l’incarico di girare un film sui matrimoni combinati nelle comunità pakistane del Regno Unito, convince l’amico e vicino di casa Kaz a farle da Cicerone nella scoperta di una realtà a lei nota solo in parte. La scelta di Kapur di lasciare fuori dal film gli aspetti più truci e violenti di tale pratica, che più di una volta sono balzati agli onori della cronaca, costituisce, da un lato, un ovvio debito nei confronti del genere della pellicola e garantisce, dall’altro, una maggiore libertà nel ridisegnare i ruoli e i rapporti tra gli attanti. Infatti, se tra la famiglia britannica di Zoe e quella pakistana di Kaz sembra esserci una linea di demarcazione religiosa e culturale piuttosto netta, che si reifica nel muro che separa le loro case e che si esprime nelle parole di Kaz “C’è un universo tra il civico 47 e il 49”, i due sono molto più vicini e simili tra loro di quanto non appaia a prima vista, in quanto accomunati dalla distanza nei confronti dei rispettivi genitori che vorrebbero mettere alle strette i figli affinché si sposino il prima possibile. Ovviamente con un partner del medesimo orizzonte socio-culturale.
Quanto più l’amicizia dei due diventa passione e li fa evolvere, tanto più la fissità ideologica dei genitori stride e cede il passo a una nuova realtà. Nonostante alcune incongruenze e vuoti nella sceneggiatura, come ad esempio il fatto che il documentario girato da Zoe improvvisamente non venga più prodotto, Shepur dimostra il fatto suo nel saper dirigere gli attori e confezionare una pellicola nel complesso più che gradevole. Le battute ironiche dell’impiegato dell’agenzia matrimoniale o le arti affabulatorie di Cath (la madre di Zoe) consentono di tenere costantemente sotto una certa soglia il livello della tensione di un film al quale è comunque difficile rimanere indifferenti. Priva di virtuosismi e di compiaciuti eccessi, la macchina da presa si muove decisa e ritaglia i personaggi nello spazio, prediligendo i campi medi e riservando i primi piani e le inquadrature fisse per i momenti che coincidono con le interviste di Zoe.
cast:
Shazad Latif, Lily James, Emma Thompson, Sajal Ali, Jeff Mirza, Shabana Azmi, Asim Chaudhry
regia:
Shekar Kapur
titolo originale:
What's Love Got to Do with It?
distribuzione:
Lucky Red
durata:
108'
produzione:
Instinct Productions, StudioCanal, Working Title Films
sceneggiatura:
Jemima Khan
fotografia:
Remi Adefarasin
scenografie:
Annie Gilhooly, Sarah Whittle
montaggio:
Guy Bensley, Nick Moore
costumi:
Caroline McCall
musiche:
Nitin Sawhney