Un uomo semplice, dedito al lavoro e alla famiglia, che eventi più grandi di lui (lo sciopero illegale dei cantieri navali di Gdansk) travolgono e trasformano. E' il 1970, e Lech Walesa fa il primo passo verso la consapevolezza politica e l'ascesa a leader carismatico. Un operaio che, diranno i libri di storia, toglierà il primo mattone al muro di Berlino.
L'impianto narrativo si sviluppa attorno all'intervista del 1981 di una acuta e indomita Oriana Fallaci (Maria Rosaria Omaggio) a un Walesa ormai grande, quasi superbo, già simbolo di tutti i movimenti antisovietici e d'ispirazione cattolica che porteranno alla crollo del sistema. Un'intervista storica che diede slancio al movimento di Solidarnosc, sindacato capeggiato appunto da Walesa, che agendo nell'illegalità cambiò la storia del blocco sovietico.
Si ripercorrono da qui le già citate agitazioni finite nel sangue a Gdanks, per passare al 1979, anno cruciale per la politica polacca: mentre Carol Wojtyla visita per la prima volta da papa il suo paese natale, Walesa pone le basi per la nascita di Solidarnosc. Si continua poi con il drammatico viaggio della moglie Danuta ad Oslo per ricevere il Premio Nobel per la Pace (con l'umiliante perquisizione delle forze dell'ordine polacche alla donna) e il culmine del discorso al Congresso Americano del 1989. Il ritratto si chiude appena prima della stagione più controversa di Walesa, quella della Presidenza, mentre il Muro di Berlino comincia a crollare.
Togliamo dall'equazione la parola "agiografia", e riportiamo quella di simbolo. Il regista Andrzei Wajda nella sua lunga carriera ci ha raccontato la storia polacca attraverso figure piccole ma emblematiche di un'opposizione crescente ("L'uomo di marmo", 1977, e "L'uomo di ferro", 1981). Qui arriva finalmente alla chiusura di un cerchio col passato. A battere sull'incudine solo un ritratto si abbatte inevitabilmente per compiere questo affresco di individui e Storia: quello dell' "uomo della speranza".
Un individuo che si vota al "Non voglio, ma devo", a un testardo imperativo categorico di coscienza e, appunto, solidarietà, e trova in se stesso radici più grandi di lui: il Walesa del popolo paradossalmente scopre un carisma debordante, quasi arrogante, e qui comincia a spegnersi l'uomo privato rispetto alla persona pubblica. Ironicamente, suggerisce Wadja, saranno i baffi a renderlo popolare, un quid che si oppone immediatamente all'icona-Stalin, al suo rappresentare rigidità e oppressione.
Se fin qui il punto di vista sembra persino trionfalistico, sono in realtà le performance di Robert Wieckiewicz (Walesa appunto) e Agnieszka Grochowska (la moglie) a dare evidenza alle sfumature, dai toni più ironici a quelli più drammatici, totalmente al servizio della storia e qui della Storia. Ma il crescete squilibrio tra vicenda del singolo e aspirazioni di una nazione - fil rouge dell'opera di Wajda - si consuma nell'alternarsi fluido e incessante di girato e filmati d'archivio, e in un racconto anti-romantico, proprio perchè sempre più universale.
08/06/2014