Non è un regista nuovo alla politica Todd Haynes, per lo meno se intendiamo la politica nella sua accezione più ampia, come interesse per le faccende comuni. Risale a cinque anni fa una delle più belle pellicole a tema lgbt viste nell’ultimo periodo, che portava la sua firma: “Carol”, e che sviluppava temi già affrontati in “Lontano dal paradiso”. I titoli citati sono solo due esempi del cinema più riuscito del regista californiano, che con “Dark Waters” passa ora al j’accuse più propriamente politico, al film-inchiesta che si situa dalle parti de “Il caso Spotlight”, “The Front Runner” o di “The Post” e tematizza gli abusi di potere delle grande industrie, l’inefficienza delle istituzioni, la sfida del tempo contro la burocrazia.
Rob Bilott è un avvocato ambientale al servizio degli interessi di una grossa azienda chimica. Quando scoprirà che la produzione del teflon, un impermeabilizzatore usato in ambito domestico, sta portando a ingenti danni a causa dello smaltimento silenzioso di sostanze velenose non dichiarate, si vedrà moralmente costretto a intraprendere una crociata contro quella stessa azienda; una battaglia durata vent’anni e fatta soprattutto di silenzi, di ricorsi e di tempi morti.
Haynes sembra rinunciare agli estetismi e attestarsi su un livello di sobrietà che fa di “Cattive acque” un titolo minore della sua filmografia, per lo meno dal punto di vista artistico, se si fa eccezione per la fotografia del sodale Lachman, che è sempre stata uno dei punti di forza e di maggior sperimentazione dei film di Haynes (si pensi al lavoro su luci e ombre e alla semantica dei colori utilizzata in “Far From Heaven” o all’utilizzo del bianco e nero in contrappunto al colore nel suo penultimo lavoro: “Wonderstruck”). Qui il regista, assieme a Lachman, desatura l’immagine e va alla ricerca di toni freddi, che meglio possano comunicare il senso di impotenza e di angoscia che permea l’opera. Tutto ciò fa da sfondo alla recitazione di Ruffalo, che lavora per sottrazione e aumenta così la freddezza del tutto. Bilott non è difatti il classico eroe, ma un cittadino medio, goffo e grassoccio, coinvolto in prima persona in una battaglia più grande di lui, afflitto dalle stesse ansie e dalle stesse paure del resto della popolazione, ma con un maggior grado di consapevolezza che gli permette di alzare la testa e di combattere contro i soprusi dei potenti.
Su questo ultimo punto però il film sembra cedere (e in particolare sul finale) a una pericolosa retorica populista: la sfiducia verso le istituzioni, motivata ma mai compresa fino in fondo, conduce il protagonista alla conclusione che “dobbiamo proteggerci da soli”, preceduta da un allarmismo messo a freno solo dall’azione equilibratrice della moglie Sarah (Anne Hathaway). Chi ci ha svelato la verità – sostiene con ferocia l’avvocato – è un allevatore, figlio del ventre d’America (e quanto gli allevatori e i cow-boys rappresentino la carne e il sangue dell’America ce lo insegna la storia stessa del cinema) e non i giuristi, gli industriali, i medici o i politici. Liberty Valance, ancora una volta, è stato ucciso dalla pistola di Tom Doniphon e non dalle leggi e dai codici penali di Stoddard. È un’affermazione con un fondo di verità, ma che si presta a facili manipolazioni di cui, ritengo, nemmeno Haynes sarebbe contento. L’opera dunque, ponderata nella costruzione, rischia di diventare viscerale nella trasmissione di un messaggio: il pericolo è già nelle nostre case, nei tessuti dei tappeti, nelle padelle con cui cuciniamo, nell’acqua che beviamo e in un mondo in cui la giustizia è troppo lenta, non ci rimane che difenderci da soli. E sappiamo bene, oggi, come questo “difenderci da soli” possa facilmente prendere derive violente e irrazionali.
Al di là del messaggio però, il vero problema del film è il ritmo eccessivamente dilatato, che se da un lato vuole rispecchiare la dilatazione dei tempi burocratici nella storia, dall’altro finisce per stancare e per diluire eccessivamente gli elementi thriller della trama, rendendo difficile la visione allo spettatore, già gettato all’interno di lessici specifici, analisi chimiche, sentenze giuridiche e molte attese.
cast:
Mark Ruffalo, Anne Hathaway, Tim Robbins, Bill Camp, Victor Garber, Mare Winningham, Bill Pullman, William Jackson Harper, Louisa Krause
regia:
Todd Haynes
titolo originale:
Dark Waters
distribuzione:
Eagle Pictures
durata:
126'
produzione:
Participant, Willi Hill, Killer Films
sceneggiatura:
Mario Correa, Matthew Michael Carnahan
fotografia:
Edward Lachman
scenografie:
Hannah Beachler
montaggio:
Affonso Gonçalves
costumi:
Christopher Peterson
musiche:
Marcelo Zarvos