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Senza farsi molto notare, quasi sottotraccia, come d'altronde quasi tutto ciò che aveva fatto negli ultimi decenni, ci ha lasciato Lina Wertmüller, probabilmente la più grande - e sicuramente la più celebre - regista che il cinema italiano abbia mai avuto

Nota principalmente per la sua collaborazione agli esordi con Federico Fellini, di cui fu assistente alla regia, per i titoli fluviali delle sue invero solitamente brevi e compatte pellicole e per la sua inesauribile energia, che l'ha portata a scrivere e dirigere più di venti film fra la metà degli anni 60 e la seconda metà degli anni 90, oltre a occuparsi di svariati progetti teatrali, Lina Wertmüller si era pian piano fatta una presenza elusiva all'interno di un cinema italiano sempre più in crisi e in rapida trasformazione a cavallo fra i due secoli. Dopo "Peperoni ripieni e pesci in faccia" (2004), pellicola dalla distribuzione complessa, si era dedicata principalmente alla regia teatrale, tornando dietro la macchina da presa solo per lavori televisivi.

Per quanto la scarsa produttività negli ultimi decenni e il generale poco successo, sia critico che di pubblico, di buona parte dei lavori realizzati dopo gli anni 80 abbiano probabilmente ridimensionato l'apprezzamento per la grande regista, resta difficile non reputare Lina Wertmüller una delle personalità più rappresentative della più gloriosa stagione del cinema italiano, come testimoniato dai numerosi premi alla carriera vinti dalla cineasta, in primis il recente Oscar, arrivato solo l'anno scorso.
Dopo le esperienze sui set di "La dolce vita" e "", Wertmüller esordisce con "I basilischi" (1963), sulla noia giovanile nella provincia meridionale, riscuotendo poi un enorme successo con lo sceneggiato Rai "Il giornalino di Gian Burrasca" (1964-65) con Rita Pavone protagonista. Dopo un paio di musicarelli e uno spaghetti western (co-diretto con Piero Cristofani e firmato sotto pseudonimo), inizia la stagione d'oro della carriera di Lina Wertmüller che negli anni 70 contribuisce a fare di Giancarlo Giannini una star internazionale, affiancandogli più volte la grande Mariangela Melato, creando quella che è una delle coppie più amate del nostro cinema. Lascia una lunga serie di pellicole di grande personalità (e altalenante qualità), dalle celeberrime "Mimì metallurgico ferito nell'onore" (1972), "Film d'amore e d'anarchia - Ovvero 'Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza...'" (1973), "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto" (1974) e "Pasqualino Settebellezze" (1975), alle meno note "Questa volta parliamo di uomini" (1965) e "Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti" (1986). "Pasqualino Settebellezze", in particolare, fu molto amato negli Stati Uniti, venendo candidato a ben quattro premi Oscar fra cui quello storico alla miglior regia (era la prima volta per una donna): il mélange grottesco di comicità e tragedia è sicuramente tra i risultati più alti e rappresentativi dell'arte di Wertmüller, autrice che ha preferito il graffio e lo strappo all'omogeneità stilistica e narrativa. 

In conclusione, ci si augura, mentre si consuma il solito spettacolo del commiato pubblico e delle celebrazioni postume, che tutto ciò diventi l'occasione per riscoprire e valorizzare come merita la produzione di una regista messa all'angolo, nonostante la sua personalità notoriamente strabordante, dalle evoluzioni, e involuzioni, della società e soprattutto del sistema-cinema in Italia degli ultimi trent'anni. Speriamo sia inoltre lo stimolo per approfondire il ruolo delle cineaste nell'affermazione internazionale del cinema italiano fra anni 60 e 70 (negli stessi anni ebbe molto successo  Liliana Cavani), facendo nel frattempo riflettere su quanto la presenza, e soprattutto l'importanza, di registe di rilievo nel nostro cinema paia essere oggi, in proporzione, quasi minore di quanto lo fosse cinquanta anni fa.
Tutte questioni che spetterà a noi, a chi resta, discutere e dirimere, lasciando finalmente in pace un'autrice che ha già dato tantissimo all'arte che più amava e al suo pubblico cosmopolita da non meritare più fastidi da parte di un paese e un'industria che l'avevano già abbandonata.

Fa' un buon viaggio, maestra, degno della più internazionale delle nostre registe.





Poche parole in ricordo di Lina Wertmüller, grande regista italiana