Ondacinema

Pillole di Cannes (e dintorni)

Nove film dalla panoramica milanese, quest'anno in tono minore per sopraggiunti (dall'anno scorso) problemi economici. Escludiamo i tre film del concorso già distribuiti in sala e recensiti da Ondacinema: la Palma d'oro “The Tree Of Life”, il Gran premio della giuria “Il ragazzo con la bicicletta” e “Habemus papam” (per altro non incluso nella rassegna).

 

Drive - Nicolas Winding Refn
Stuntman e meccanico di giorno, autista per rapine di notte; un uomo (Ryan Gosling) di poche parole e parecchio sangue freddo al volante è il protagonista di "Drive", nona pellicola del quarantenne danese Nicolas Winding Refn, premiata con il Prix de la mise en scène. Ambientato nella multietnica Los Angeles, il film parte spingendo a tavoletta con la lunga sequenza - prima dei titoli di testa - di un furto-fuga-inseguimento scanditi da musiche synt martellanti dove il sobrio conducente avvolto nel suo bomber feticcio tiene a bada la tensione con il rombo del motore in uno degli incipit cinematografici più adrenalinici degli ultimi anni. Per il guidatore taciturno sembra aprirsi un futuro da pilota grazie all'investimento di un lestofante, ma prima di iniziare a calcare i circuiti si invaghisce della dolce vicina di casa e per aiutare suo marito appena uscito da galera, finisce in una brutta situazione che scatena il suo vigore cruento in un crescendo di violenza. Le caratteristiche della vicenda (lo sviluppo della furia dell'individuo difronte al pericolo, la storia d'amore, la rapina finita male) non sono originali ma Refn slalomeggia con una certa maestria tra gli ostacoli del déjà vu concentrando la camera sulla contrapposizione mitezza vs. aggressività dell'imperturbabile e imprendibile (Walter Hill docet) "driver". Ma soprattutto, la forza del film sta nel suo essere contemporaneo, nella capacità del regista di offrire un trattamento coinvolgente (le panoramiche sullo sfondo tentacolare di LA, l'uso puntuale della colonna sonora, il graphic design dei titoli), nel rivisitare con personalità l'ordinario script di partenza facendone un piccolo, cupo manifesto urbano di ultima generazione. Sul registro: 7,5 ("pillola" a cura di Nicola Di Francesco)

Play - Ruben Östlund

Svezia. Una banda di ragazzi di colore ruba, per gioco, un cellulare a un coetaneo. A catena, si consumano una serie di episodi di bullismo. L'opera terza di Ruben Östlund è un notevole esercizio di regia, giocato sull'impassibilità della macchina da presa: non necessariamente fissa, ma costantemente a un certa distanza; non sempre focalizzata sul centro dell'azione, che anzi è sovente fuori campo. L'autore si sofferma su situazioni volutamente sgradevoli, si premura di mischiare le carte modificando con scientifica precisione il numero dei componenti le bande e i conseguenti rapporti di forza, allargando lo sguardo a una società irregimentata (l'insensibilità delle forze dell'ordine, rigidamente ligie alla burocrazia) e complicando il discorso, nel finale, con il dibattito sulla questione razziale. Ottima l'idea degli gli inserti della culla abbandonata su un treno di pendolari, potente metafora della colpevole assenza dei genitori, a contrappuntare con ironia un racconto fortemente cupo. Nel corso della visione si è un po' freddi, ma il film rimane nella memoria. E Östlund è una sorta di novello Haneke, assolutamente da tenere d'occhio. Sul registro: 7


Les Neiges du Kilimandjaro - Robert Guediguian
Fresco di licenziamento, il sindacalista di lungo corso Michel subisce un furto, con sequestro, in casa. Scoprirne il responsabile sarà doloroso, ma il trauma per lo spiacevole episodio diverrà l'occasione per un ripensamento del proprio impegno in società. L'ex "Ken Loach di Francia", sempre fedele ai portuali di Marsiglia, è oggi un regista più pacato ma anche più lucido. Nonostante qualche eccesso di politichese e uno stile non propriamente raffinato, si serve di un cast superlativo e della forza del ragionamento per trasferire la nostalgia di un glorioso passato (che condivide - è chiaro - con i suoi personaggi) verso le inedite sfide del presente, e interrogarsi sulle contraddizioni di una classe non (più) rivoluzionaria, né cosciente, né coesa. Facendo riflettere e riuscendo anche a commuovere con un film poco adatto ai cinefili duri e puri, ma ideale per i cineforum. Sul registro: 7

Melancholia - Lars von Trier
Il matrimonio di Justine fallisce il giorno stesso delle nozze, anche perché la minaccia del pianeta Melancholia incombe sulla Terra. L'Apocalisse secondo il (o l'ex?) depresso von Trier, che sembra tornare ai tempi del Dogma rispolverando una macchina a mano da morbo di Parkinson e ricalcando per metà film il soggetto di "Festen". È sufficiente una congiunzione planetaria per spiegare gli irritanti comportamenti degli invitati alla cerimonia nuziale? Forse no. Ma il regista, che sfodera immagini mozzafiato (l'incipit in stile video-arte, la Dunst che si abbronza alla luce di Melancholia, le sequenze di osservazione astronomica), ha ben chiari, nel mirino, gli obiettivi della sua demolizione controllata: l'istituzione della famiglia, l'industria del marketing, il razionalismo - prettamente maschile, personificato dal cognato della sposa - di una scienza impotente e pavida. Le donne sono al solito irrazionali o emotive, ma al cospetto della catastrofe appaiono più dignitose. A stare alle regole del regista, è il suo miglior film da anni: i detrattori storici saranno disposti? Sul registro: 6,5

Polisse - Maïwenn
La giovane regista e attrice Maïwenn, lontana dai cliché del cinema di genere, racconta la quotidianità dei poliziotti del reparto Protezione Minori in un film dall'intelligente struttura "orizzontale" (una serie di episodi - principalmente a sfondo sessuale - senza una linea narrativa dominante) e corale, e con una messa in scena che si fa via via più efficace. Peccato per l'umorismo talvolta di cattivo gusto, un vago sospetto di morbosità e soprattutto un finale orrendo, che rischia di rovinare tutto. Qualche debito nei confronti delle serie televisive e forse, all'estremo opposto, del cinema di Jacques Audiard. Sul registro: 6,5

La fée - Fiona Gordon, Dominique Abel, Bruno Romy.
Dom è il guardiano notturno di un piccolo hotel di Le Havre. Una sera si presentano alla reception, impedendogli di cenare, uno straniero con un cane e una donna che si fa chiamare "la fata". L'inizio è la parte migliore di una commedia spassosa, a tratti romantica e decisamente surreale. Qualche problema di tenuta alla distanza: ma è raro, oggi, imbattersi in un'opera che accumuli situazioni comiche, talvolta geniali, con la frequenza di un "Hellzapoppin'". Vicino al cinema di Delépine e Kervern, ma meno cerebrale e più divertente. E i due magrissimi attori protagonisti hanno davvero il physique du rôle. Sul registro: 6,5

Eldfall (Vulcano) - Rúnar Rúnarsson
Opera prima di uno stimato autore di cortometraggi. Anche per il suo caratteraccio, un bidello appena andato in pensione è in pessimi rapporti con i figli e la moglie. L'improvvisa malattia di quest'ultima lo farà cambiare. Classico film d'autore, apprezzabile per il rigore (sempre considerando che si tratta di un debutto), mai trascinante, non certo memorabile. Il vulcano del titolo, a causa del quale il protagonista ha dovuto abbandonare l'isoletta dove è cresciuto, viene ripetutamente evocato nei dialoghi ma non assurge a elemento drammaturgico determinante. Finale già visto, ma sempre buono per discussioni polemiche. Sul registro: 6

La source des femmes - Radu Mihaileanu

Dopo l'Olocausto coi toni da commediola, le lodi a un'Israele accogliente e democratica nonostante qualche peccatuccio, e i risaputi orrendi crimini del comunismo, il tuttologo Mihaileanu torna a celebrare la superiorità del liberale d'Occidente denunciando le condizioni della donna araba, stando al contempo ben attento a non offendere nessuno (non sappiamo il nome del paese in questione né la nazionalità degli ex coloni, le colpe dell'Islam si riducono a un dibattito teologico in cui l'imam soccombe in un attimo, ecc.) e assoldando un cast onnipresente nelle coproduzioni internazionali. Le protagoniste fanno lo sciopero del sesso (ideona!) perché sostengono di lavorare troppo, tuttavia raramente le vediamo sgobbare: meglio ovviamente concentrarsi sulle più accattivanti trame sentimentali. Come da copione, si ride e ci si indigna, indubbiamente il racconto fila, la fotografia è smagliante. Ma il grande cinema sta altrove. Sul registro: 6

Et maintenant on va où? - Nadine Labaki

Fa il paio con il film di Mihaleanu: stessa alternanza di commedia e dramma, stesso ruolo di avanguardia della riscossa attribuito alle donne, stessa edulcorazione della materia. Con l'aggravante che la bellissima autrice e attrice (già di "Caramel") è libanese. Il problema di convivenza tra diverse religioni è risolto con una serie di improbabili conversioni nell'arco di una sola notte (che valgono al film la Menzione speciale della giuria ecumenica). Nella coralità del cast, qualche ottimo assolo. Troppo poco. Sul registro: 5





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