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"Per i primi venticinque anni della mia vita ho vissuto come un criminale, e i successivi venticinque li ho trascorsi da cittadino di seconda classe, privato dell'uguaglianza e dei diritti umani": non le manda a dire Derek Jarman in questa rabbiosa autobiografia, originariamente pubblicata nel 1992 (due anni prima che l'AIDS finisse di consumarlo) e ora riproposta in italiano dalla Shake, in occasione del trentennale.

Parlare di autobiografia, in ogni caso, è fuorviante. Per il taglio scelto, innanzitutto: dopo aver riscritto le regole del biopic con l'immortale "Wittgenstein", Jarman si accanisce a decostruire la propria di vita, in un serrato collage di salti temporali, logici e stilistici intercalati da ritagli di giornale e frammenti di conversazioni; ma sono soprattutto i contenuti a rendere questo potente volumetto più simile a un pamphlet che a un diario. Il tema è quello che, in fin dei conti, ha sempre serpeggiato nella sua arte: l'omosessualità come condizione penitenziale quanto redentiva, calvario ma anche illuminazione. Mai, tuttavia, l'argomento era stato sviscerato con tanta spiazzante sincerità e vis polemica.

Fedele alla ben nota ossessione per l'iconografia cristiana, oltre che alla poetica straziata dei suoi eroi (Genet, Mishima, l'amatissimo Pasolini), il tormentato di Northwood mette in scena un martirio personale e collettivo, additando la persecuzione omofoba che, sin dal famigerato processo a Oscar Wilde, ha rastrellato senza tregua l'ipocrita società inglese ("la più retrograda d'Europa"), mietendo almeno tre vittime eccellenti in pieno XX secolo (Alan Touring, Joe Orton e Joe Meek). Riprendendo il geniale gioco di parole di Richard Hamilton, la capitale delle minigonne e dei caschetti si rivela per il popolo gay un'infernale "Swingeing London" (da to swinge, punire), girone dantesco in cui la guerra sembra non essere mai finita.

Pioniere generoso e per nulla snob, l'autore riassume tutte le tappe della crudele vicenda, con pathos da grande narratore: la clandestinità negli anni 40 e 50, il Sexual Offences Act che nel 1967 sembrò porre fine all'accanimento, gli anni 70 all'insegna della scoperta, poi la caccia alle streghe thatcheriana che azzerò daccapo il tabellone del pregiudizio, culminata nell'approvazione dell'infame Sezione 28 ("finalmente si parlava di sesso, ma per i motivi sbagliati"). Tra i primi e più noti sieropositivi a uscire allo scoperto, simbolo non più vivente delle nuove discriminazioni che accompagnarono la "malattia dei froci", con questo libro schietto e orgoglioso offre un solenne manuale ad uso delle nuove generazioni, affinché possano "amare senza soffrire e ricordare che anche noi amammo".

Eccetto sparuti flash (l'allestimento scenografico de "I Diavoli" di Ken Russell, le travagliate riprese di "Sebastiane", una lettera di Vivienne Westwood a proposito di "Jubilee", il plauso generale seguito a "Edoardo II"), di film non c'è traccia da queste parti. Nondimeno, "Testamento di un santo" rimane un documento essenziale per penetrare una delle personalità cinematografiche più radicali e incisive del secondo 900, morigerato passionale e combattente gentile, tenace propugnatore del camp britannico. Ed è anche alla luce di queste pagine che ci sentiamo di smentire le ultime battute del lancinante "Blu", congedo senza immagini di un dolcissimo Tiresia: il tuo nome non sarà mai dimenticato, caro Derek.


Autore: Derek Jarman
Traduttore: Manlio Benigni, Giulio Lupieri
Editore: Shake
Collana: Underground
Anno edizione: 2022
Pagine: 176
Tipo: Brossura
EAN: 9791280214447