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BERLINO 70 - I premi e un bilancio sui film in concorso. L'Orso d'oro al miglior film è andato all'iraniano Rasoulof. La qualità dei titoli è parsa molto elevata: ottimo il riscontro anche per le due pellicole italiane presenti nella competizione

Si è chiusa la settantesima edizione della Berlinale, la prima sotto la direzione artistica di Carlo Chatrian e di Mariette Rissenbeek come direttrice esecutiva. Un buon inizio, decisamente, per questa inedita coppia, che ha preso in mano il Festival dopo il lungo regno di Dieter Kosslick che durava dal 2001. L'organizzazione della rassegna è scivolata senza intoppi, nonostante le numerose insidie provenienti dall'esterno: l'attentato di Hanau, in Germania, proprio la notte prima dell’apertura del 20 febbraio; i timori per il coronavirus; e in ultimo, le proteste degli attivisti contro il cambiamento climatico nella serata dell’assegnazione dei premi. La qualità dei film in gara è parsa eccellente, e soprattutto è piaciuta la scelta di portare in gara pellicole che hanno saputo dialogare con l’attualità in modo peculiare, riuscendo a coinvolgere.


Il cast di "There is No Evil"

Ed eccoci dunque ai vincitori. L'Orso d'oro al miglior film è andato a "Sheytan vojud nadarad" ("There is No Evil") del regista iraniano Mohammad Rasoulof, che non ha potuto prendere parte alla manifestazione a causa del divieto del governo del suo Paese. Un'assurdità che ha reso ancora più palese la denuncia insita nella sua opera, divisa in quattro episodi, contro la dittatura; accorato il discorso del presidente di giuria, l'attore britannico Jeremy Irons, che ha posto l'accento su quanto questo film riguardi tutti noi. A ritirare il premio per Rasoulof, oltre ai produttori, c'era la figlia, commossa e molto applaudita.


Damiano D'Innocenzo e Fabio D'Innocenzo

Il gran premio della giuria, composta tra gli altri dall'attore italiano Luca Marinelli, è andato al drammatico "Never Rarely Sometimes Always" della regista statunitense Eliza Hittman, un altro film incentrato su un tema di fortissima attualità, il diritto ad abortire. L'Italia ne è uscita alla grandissima, con l'affermazione di Elio Germano, premiato come miglior attore per la sua interpretazione del pittore Antonio Ligabue nel film "Volevo nascondermi" di Giorgio Diritti. Un riconoscimento che è parso quasi scontato, data l'incredibile performance dell'attore romano, che ribadisce la sua caratura internazionale, dopo l’affermazione al festival di Cannes di dieci anni fa per "La nostra vita". All’altro film italiano in concorso, "Favolacce" dei fratelli D'Innocenzo, è andato il premio per la migliore sceneggiatura (come l'anno scorso per "La paranza dei bambini"). Una storia che ha lasciato il segno, quella di un gruppo di famiglie romane e dei loro inquieti ragazzini, confermando la qualità di questi due giovani autori, una scoperta berlinese, dato che il loro film d'esordio "La terra dell'abbastanza" era stato lodato nel 2018 proprio qui al Festival.


Paula Beer

Una giovanissima anche lei, Paula Beer, venticinquenne, che si conferma come una delle più talentuose interpreti tedesche, vincendo il premio come miglior attrice per "Undine": il suo ruolo di donna sospesa tra mondo reale e oltremondano ha messo d'accordo tutti. Da una promessa a un veterano: parliamo del coreano Hong Sangsoo, che si è portato a casa la miglior regia per "The Woman Who Ran". Le altre affermazioni: il miglior documentario è stato "Irradiated" del cambogiano Rithy Pahn (che figurava in concorso); il premio al contributo artistico è andato alla fotografia di Jürgens Jürges per "Dau. Natasha". Come miglior cortometraggio ha vinto "T" di Keisha Rae Witherspoon. Infine, l'anniversario della settantesima edizione ha portato con sé un premio speciale a "Effacer l'historique" di Benoit Delépine e Gustave Kervern.

Tra i non premiati, è piaciuto davvero tanto l'adattamento in chiave moderna di "Berlin Alexanderplatz", così come l'intrigante storia dell'amicizia western di "First Cow" e l'interpretazione degli attori in "Schwesterlein". Un segno che la qualità era presente davvero in abbondanza. Non hanno convinto, invece, i tre registi forse più noti presenti in concorso: Abel Ferrara col confuso "Siberia", interpretato da William Dafoe; la stanca riproposizione degli stilemi nouvelle vague di Philippe Garrel in "Le sel des larmes". Altra delusione è parso, nonostante il cast di primissimo piano (Javier Bardem, Salma Hayek, Elle Fanning e Laura Linney) il dramma, troppo letterario, visto in "The Roads Not Taken" di Sally Potter.





Berlino 70 - I premi e il bilancio del Festival