Ondacinema

recensione di Pietro S. Calò
7.0/10
Una ragazza corre senza meta apparente; lo stilista Arakawa Shinichiro taglia e guarda i tessuti in controluce; un sudatissimo Araki Nobuyoshi, fotografo di genere erotico, tiene testa con la sua Pentax a un gruppetto di allegre modelle prima vestite, poi seminude e infine come le ha fatte mamma. Maro Akaji, noto anche come attore (lo abbiamo visto nei due "Kill Bill", in "Suicide Club" e "L’estate di Kikujiro" di Kitano Takeshi), dirige un gruppo di danza Buto, che è poi il suo vero mestiere. Sion Sono si mostra con la troupe e poi prepara su carta le singole sequenze: un tentativo di Free Cinema? Il videoclip di una garage-band?
Nessuno dei due, è un talentuoso regista giapponese alla vigilia della fama a venire, quando con "Strange Circus" (2005) si porrà all’attenzione del suo Paese prima e di tutto il mondo, Italia compresa, poi.
Utsushimi, parola poco usata nel quotidiano, sta a designare il corpo vuoto, il "principio di realtà": vedere i tre artisti al lavoro e la giovane correre nell’unico frammento di finzione, ne focalizza esattamente il concetto. Il valore delle cose, suggerisce, non sta nella loro forma esteriore, corruttibile e transeunte, e neppure nel movimento che questa tende a suggerire; il valore sta in ciò che la forma protegge, il vuoto.

Orchestrato in tre capitoli strettamente legati tra di loro pur senza condividerne necessariamente lo spazio, il nostro piano razionale tende a seguire la ragazza, Keiko (Keiko Hamaguchi), anticipata dalla macchina a mano di Sono con quel suo stare addosso agli attori in campo medio per carpirne psicologia e contesto. Interrogata sul suo correre senza soluzioni di continuità, ella risponde di avere la (gioiosa) sensazione di percorrere una strada di tipo "A-B-C-D- eccetera". Se le prime quattro lettere dell’alfabeto sono facilmente individuabili come il fondamento del linguaggio, rigoroso e formale, la cui sola difficoltà sta nella loro composizione, eccetera è un sicuro sinonimo dello stile di Sion Sono, caotico e vertiginoso e in cui il resto delle lettere resta indefinito affinché possa essere usato a piacimento. O, più semplicemente, eccetera è una parola che gli sta bene appiccicata potendo definire il suo come "lo stile eccetera".
Le inquadrature sono spesso cerchiate con un accenno di iris che però non si chiude mai pur continuando a suggerire un cinema antico, muto e di movimento. Oppure il voyeurismo del buco della serratura.
La fotografia è, giustamente, una preoccupazione di Nobuyoshi che è spesse volte inquadrato nell’atto di misurare la temperatura di colore prima di procedere agli scatti; quella di Sono, al contrario, non è esplosiva come la conosceremo poi ma piuttosto fredda, documentaria, invernale. È assente il suo tanto amato color rosso che utilizza comunque come filtro di una intera sequenza. C’è invece, quasi immancabile, la mutandina bianca, indossata sia dalle modelle al lavoro sia da Keiko, talché Sono può tranquillamente essere designato come l’erede naturale di Gigi la Trottola.

Keiko, comunque, ha un piano, e lo realizzerà. In questo mondo, non c’è che l’uomo capace di fare le cose senza scopo.
È innamorata di un ristoratore, il neanche notevole Fukuji (Takuji Suzuki), che la snobba. E così entra in scena Hachiko, il fedele compagno di un uomo morto improvvisamente, che per nove anni restò ad attenderlo alla stazione di Shibuya dove il padrone scendeva abitualmente e dove il cane infine morì per entrare nella leggenda, con tanto di festa dedicata (l’8 marzo, la nostra "festa delle donne") e una statua presso cui è tradizione s’incontrino gli innamorati.
"Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto" allora, e così la ragazza si prende sulle spalle la pesantissima statua e la trascina davanti il ristorante del ragazzo, seguita dai singoli in attesa della loro metà, prima arrabbiati per aver perso il loro riferimento poi sempre più complici ed entusiasti.
La perdita della verginità è comunque un affare serio e Fukuji, supportato dalla sola eccitazione per una ragazza giovane, bella e upper-class ma che non ama, dovrà prima imparare a correre, in cerca del giusto contesto per il quale sarà aiutato dallo stilista Shinichiro, con un abito da sposa appeso lì, nel bel mezzo di un appartamento squallido e disabitato, traccia del corpo vuoto finalmente rappresentato. Il culmine è un tripudio di rubinetti che si aprono e inondano la stanza e porte sfondate.
Il motivo del correre viene infine meno, almeno per la ragazza per la quale era un semplice mezzo mentre in Fukuji, dopo tanta ritrosia, ne diventa il fine, astratto come è invece concretissimo il desiderio di Keiko di mettere al mondo almeno due bambini. Si salda così il senso delle inquadrature iniziali, in stile amatoriale da super-8 che mettevano in quadro la famiglia Sono, gli imbarazzati genitori e sua sorella. Se tanto dà tanto, anche la giovane coppia supererà lo scoglio dell’incomunicabilità dei sessi.

Resta una ultima domanda: se lo stilista ha portato in dono il corpo vuoto del suo vestito, e la danza Buto il corpo svuotato dalle sue mosse disarmoniche, qual è il ruolo del fotografo, che non sia una scolastica idea di corpo illusorio?
Oltre a vedere il suo lavoro compiuto, una mostra fotografica, che è tutto il suo sudore, Nobuyoshi ha offerto lo strumento per smuovere Fukuji dalla sua anaffettività; è una sua modella, né giovane né bella, che l’ha iniziato all’Amore, che l’ha smosso dalle pulsioni elementari. E così tutto si risolve in commedia, un happy ending calato dal cielo che premia una storia per molti versi incomprensibile come il testo da cui è ispirata, il Tao Te Ching.
Resta, per noi europei, una fastidiosa eco, in quel corpo vuoto che tanto ricorda l’Hollow Men di T.S. Eliot e il cui culmine è spaventosamente questo:

This is the way the world ends
This is the way the world ends
This is the way the world ends
Not with a bang but a whimper


Mentre così inizia

We are the hollow men
We are the stuffed men


Stuffed sta per "impagliati", come Hachiko: dopotutto il terrore latente è una cifra riconosciuta del cinema di Sion Sono…
21/11/2016

Cast e credits

cast:
Shinichirô Arakawa, Nobuyoshi Araki, Akaji Maro, Keiko Hamaguchi, Takuji Suzuki


regia:
Sion Sono


titolo originale:
Utsushimi


distribuzione:
Pictures Dept.


durata:
110'


produzione:
Aichi Arts Center


sceneggiatura:
Sion Sono


fotografia:
Yasuhiro Kobayashi - Sion Sono - Gou Suzuki


scenografie:
Yoshihiro Nishimura


Trama
Uno stilista, un fotografo, un danzatore di Buto, una ragazza che corre: la ricerca senza fine del Corpo Vuoto e dell'Armonia