Joseph è quel che si definirebbe un
society's outcast: un sessantenne vedovo, alcolizzato, aggressivo e con tendenze autolesioniste che passa le sue giornate tra un boccale di birra e una rissa; un uomo talmente violento da ammazzare a calci il suo unico amico (un cane) per sfogarsi dopo l'ennesima sbronza e l'ennesima zuffa. Un giorno incontra Hannah, una donna altrettanto triste, vittima delle continue violenze del marito, che tenta di risolvere i suoi problemi con la fede e col whisky. "Tyrannosaur" narra la storia di queste due anime tormentate, in cerca di redenzione.
Il cinema britannico ha sempre avuto una naturale propensione al ritratto sociale e non ha mai smesso di raccontare i
tranche de vie di una
working class sempre più arrabbiata e allo sbando. Paddy Considine, sceneggiatore e attore britannico abbastanza noto per i ruoli in alcuni film dei connazionali Jim Sheridan e Shane Meadows, in questo spiazzante esordio dietro la macchina da presa cerca di superare il collaudatissimo e abusatissimo "modello-Loach": evita di costruire un "film a tesi" e preferisce insistere sulle vicende dei singoli personaggi senza estendere necessariamente il loro vissuto all'intera società. Questa precisa scelta stilistica svela perciò uno spirito intimistico e un profondo intento narrativo che il regista non ingabbia mai in un rigido ideologismo politico. Sia chiaro, "Tyrannosaur" è un film durissimo, aspro, crudo e denuncia brutalmente, senza mai scendere a compromessi, un diffuso e profondo malessere sociale e psicologico, procedendo privo di forzature e sbavature. Considine non calca mai la mano e dimostra un ammirevole controllo registico: in "Tyrannosaur", nonostante lo spietato realismo, non c'è una sola sequenza o inquadratura fuori posto, è tutto equilibrato in una perfetta alternanza tra implicito ed esplicito, vendetta ed espiazione.
Immense le prestazioni degli interpreti: Peter Mullan (già migliore attore a Cannes nel 1998 per "My Name Is Joe" di Loach) con quel suo spigoloso accento scozzese è un protagonista rude, disperato e ipnotico; Olivia Colman è terribilmente credibile nei panni di una donna annientata fisicamente e annichilita psicologicamente; Eddie Marsan è un disgustoso marito finto, feroce e inspiegabilmente disturbato.
L'ultima inquadratura in cui Joseph, solo e redento, percorre un viale illuminato da un pallido sole autunnale, accompagnato dal malinconico "
We Were Wasted" del gruppo indie britannico "
The Leisure Society", ci lascia la bocca amara, lo stomaco in subbuglio e gli occhi lucidi.
Il film, pluripremiato al Sundance nella sezione "World Cinema" e ai British Independent Film Awards 2011, presentato anche all'ultimo festival di Roma nella sezione "Occhio sul mondo", è stato scelto come miglior film d'esordio ai BAFTA 2012.
30/04/2012