Ondacinema

7.5/10

"Tutta la bellezza e il dolore" non è un ritratto di Nan Goldin, non si pone il fine di raccontare la sua vita e di scavare nei meccanismi profondi della sua psiche e della sua ricerca artistica. Al contrario, Laura Poitras realizza un opera filmica che si pone come un "calco", nel senso che si adagia sul linguaggio della fotografa e ne riprende le caratteristiche di base, creando quello che è a tutti gli effetti un film di secondo grado. Goldin racconta la sua esperienza artistica a partire dal trauma del suicidio della sorella maggiore, nascosto dai genitori i quali cancellarono ogni prova di questo fatto, al quale è seguito il tentativo (ai limiti dell'ossessione compulsiva) di Nan di testimoniare tramite le fotografie ogni singolo avvenimento della propria esistenza (dagli amici, ai locali, alle esperienze più variegate) per realizzare degli oggetti in grado di comprovare ogni singolo fatto della propria vita.

Questa realizzazione di prove materiali dell'esistenza è stata progressivamente allargata dalla propria individualità alla comunità in cui si è trovata a vivere, quella della New Wave newyorkese degli anni '70 e '80, agli emarginati dalla società perché affetti da AIDS e, infine, alla denuncia delle responsabilità della famiglia Sackler nell'epidemia di oppioidi negli Stati Uniti. Laura Poitras ci dice che il valore dell'opera di Goldin risiede nella frattura tra vita e rappresentazione della stessa, cioè nel tentativo impossibile di testimoniare l'esistente tramite delle immagini: siamo ancora una volta di fronte all'aporia costitutiva del realismo, cioè l'incapacità di fondo dell'arte di rappresentare il reale nella sua interezza. Laura Poitras comunica allo spettatore questa frattura costitutiva del linguaggio della fotografa, e realizza un lungometraggio che si fonda a sua volta su uno scarto linguistico. Al contempo e proprio tramite quest'ultimo aspetto, realizza un film politico, esattamente come le fotografie e le performance di Goldin.

Riflettendo sul concetto di politica nel cinema, Rancière parla di «due significati del termine "politica": […] ciò di cui parla un film – la storia di un movimento o di un conflitto, l'esibizione di una situazione di sofferenza o d'ingiustizia -, e la politica come strategia propria di un percorso artistico» [1]. Tanto la regista quanto la fotografa soddisfano il primo significato, dato che Laura Poitras ha raccontato la vita e le battaglie di Goldin, in particolar modo soffermandosi sulla denuncia delle responsabilità della famiglia Sackler in merito alle morti legate alla dipendenza da Oxycontin. Inoltre, Nan ha ripetutamente usato il mezzo artistico al fine di esibire il reale, cioè di denunciare, di portare alla luce ciò che la società preferiva nascondere: tramite slideshow (cioè una mostra fotografica effettuata per mezzo della proiezione di diapositive), come "The Ballad of Sexual Dependency", tenuta nel 1985 e contente gli scatti raccolti dal 1979, riguardanti il mondo queer e la cultura New Wave dei sobborghi di New York City; per mezzo di mostre, come "Witnesses: Against Our Vanishing", tenuta nel 1989-90 e avente ad oggetto le opere di vari artisti accomunate dal tema dell'AIDS, al fine di mostrare quanto la società tendeva a rendere invisibile; tramite proteste collettive in forma di happening finalizzate alla denuncia della responsabilità della famiglia Sackler, come, ad esempio, lanci all'interno del Guggenheim di finte prescrizioni macchiate di liquido rosso a coprire i corpi inermi degli attivisti membri del gruppo PAIN, o repliche di contenitori di Oxycontin lasciate cadere in una sala del Metropolitan.

Per quanto riguarda il secondo significato del termine "politica", è necessario approfondire ulteriormente il pensiero di Rancière al fine di prendere in considerazione il concetto di "scarto": «Tra immagini e narrazione si creano fratture – che possono riguardare il rapporto tra parola e immagine, tra linguaggio e corpi, tra visivo e sonoro – che a loro volta danno vita a nuove "distribuzioni del sensibile", termine con il quale il filosofo [Rancière] intende l'organizzazione del mondo, il modo in cui esso si dà alla vista, alla percezione e alla comprensione umane. Compito del cinema politico è mettere in discussione le evidenze sensibili, ovvero modificare la comune percezione del mondo e creare nuove traiettorie di senso» [2]. Si è specificato poco fa lo scarto costitutivo alla base dell'esperienza aristica di Nan Goldin: semplificando e riferendosi a ciò che il documentario suggerisce, questo risiede nella frattura tra vita e rappresentazione della stessa. "Tutta la bellezza e il dolore", invece, presenta due tipologie di scarto profondamente connaturate fra loro: il rapporto che vede la finzione contrapporsi alla realtà e l'uso di diverse forme di linguaggio documentario.

Iniziamo dal primo: per Rancière il cinema è «una favola contrastata, vale a dire scissa tra l'osservazione statica del mondo e la tensione a raccontare storie» [3], infatti, «se da un lato il cinema si appropria della logica aristotelica della fabula, legata a doppio filo alla presenza di un autore demiurgo, esso è la contempo capace di sospendere tale logica in squarci di pura contemplazione visiva nei quali a parlare sono le cose e i fatti. Di conseguenza, ogni film è una favola sdoppiata, o contrastata, che lascia emergere lo scarto tra logica estetica e logica rappresentativa, tra logica della finzione e logica del reale» [4]. La realizzazione del racconto è affidata alla voce della protagonista, che parla di se stessa e delle proprie opere seguendo un taglio cronologico narrando la propria vita. Tuttavia, questa logica lineare avviene mostrando le fotografie di Goldin: è qui che si verifica la sospensione della logica lineare aprendo gli "squarci di pura contemplazione" nei quali a parlare è unicamente ciò che si vede, ovvero le magnifiche fotografie (statiche in quanto immagini non in movimento per definizione) di una delle più grandi fotografe viventi. Lo stesso effetto viene provocato dalle perfomance del gruppo PAIN: gli happening realizzati si pongono come elementi di sospensione del normale flusso degli eventi e, dunque, per costituire delle epifanie visuali, degli episodi di estasi osservativa in grado di soprendere lo spettatore e di catalizzarne l'attenzione.

A questo aspetto si collega la seconda tipologia di scarto, ovvero quella riguardante le diverse forme del linguaggio documentario adottate dalla regista: da un lato, come si è detto, è presente la narrazione autobiografica della fotografa a cui, dall'altro, viene intervallato il racconto delle performance del gruppo PAIN. Questo secondo elemento viene strutturato come un reportage giornalistico: si tratta di una modalità linguistica puramente osservativa, dato che Laura Poitras ha utilizzato dei filmati d'archivio in cui la macchina da presa segue le vicende di Goldin e degli altri membri senza intervenire, limitandosi a filmare le azioni di protesta. Dunque, "Tutta la bellezza e il dolore" viene vivificato dalla contrapposizione fra due elementi fortemente contrastanti: i filmati di denuncia, costituiti da materiale d'archivio realizzati da altri e montati in modo da far emergere l'osservazione distaccata delle proteste contro la famiglia Sackler, entrano in conflitto con la lunga confessione autobiografica, frutto dell'incontro fra la regista e la protagonista, illustrata dalle fotografie di quest'ultima così da riprendere e potenziare la modalità dello slideshow. Questi erano veri e propri eventi all'interno del mondo queer newyorkese degli anni ‘70: nel lungometraggio viene spiegato che le diapositive venivano proiettate all'interno della stessa comunità ritratta nelle immagini. I partecipanti ballavano, applaudivano e contestavano davanti e con le fotografie, che quindi diventavano esse stesse fonte di vita e di discussione. Allo stesso modo, in "Tutta la bellezza e il dolore" la vita di Goldin viene raccontata sostenuta dalle immagini che, al contempo, ne sorreggono la riflessione, dando luogo ad uno slideshow potenziato dal medium cinematografico e in grado di innestare la stessa dinamica di compresenza di rappresentazione e vita.

 

[1] J. Rancière, Politiche del cinema, in R. De Gaetano (a cura di), Politica delle immagini. Su Jacques Rancière, Pellegrini, Cosenza, 2011, p. 11.

[2] F. Rabissi, L'occhio politico e visionario del cinema italiano contemporaneo, Mimesis, Milano-Udine, 2020, p. 21.

[3] Ivi, p. 28.

[4] Ivi, pp. 31-32


24/02/2023

Cast e credits

cast:
Nan Goldin


regia:
Laura Poitras


titolo originale:
All the Beauty and the Bloodshed


distribuzione:
I Wonder Pictures


durata:
113'


produzione:
Praxis Films, Participant, HBO Documentary Films


fotografia:
Nan Goldin


montaggio:
Amy Foote, Joe Bini, Brian A. Kates


musiche:
Soundwalk Collective, Dawn Sutter Madell


Trama
La fotografa di fama mondiale Nan Goldin racconta la sua vita, soffermandosi in particolare sulla battaglia finalizzata alla denuncia dellea responsabilità della famiglia Sackler nelle centinaia di migliaia di morti causate dal farmaco Oxycontin.