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recensione di Alessio Cossu
6.5/10

Un esordio alla regia senza infamia e senza lode, quello di Beppe Fiorello. Il poliedrico artista siciliano s'ispira a una vicenda realmente accaduta nel 1980, quando due giovani, Giorgio e Antonio, vennero uccisi perché "colpevoli" di una relazione che neppure le rispettive famiglie compresero accettarono. Il delitto di Giarre, di chiara matrice omofoba, è considerato la base su cui si costruì il movimento omosessuale in Italia e circa un mese dopo a Palermo venne fondata l'Arcigay.

È una Sicilia profonda, quasi rurale, ma soprattutto ripresa da un angolo visuale molto ravvicinato, intimo e familiare, quella che fa da sfondo ai fatti narrati. Ci sono le mani callose di chi lavora umilmente accontentandosi di poco; ci sono gli scorci marittimi e fluviali, veri e propri loci amoeni ed estensione fisica della genuina aspirazione alla libertà; e poi ci sono loro, Nino e Gianni. Due ragazzi che il destino (metaforicamente rappresentato da un incrocio stradale) decide di far incontrare per puro caso in una giornata uguale alle altre. Giuseppe Fiorello ci introduce nel loro universo con una ponderata gradualità, dimostrando di sapere il fatto suo nella messa in scena e nella direzione degli attori, tutti a loro agio nei rispettivi ruoli. La caratterizzazione dei personaggi può dirsi tuttavia riuscita solo per i protagonisti.

Nino è uno studente spensierato, con la chioma che ricorda Jimi Hendrix e con i pantaloni a zampa, forse un po' ingenuo, cui piace bearsi di lunghe passeggiate in motorino. Inizialmente, le aspettative e il metro di giudizio morale della famiglia coincidono con quelle del figlio, per cui l'effettiva abilità nel maneggiare la rischiosa arte paterna (gli spettacoli pirotecnici) viene considerata alla stregua di un rito di passaggio, di una prova di maturità necessaria per entrare a pieno titolo nell'età adulta. Con la frequentazione di Gianni, invece, l'orizzonte valoriale e pedagogico di Nino non coincide più con quello genitoriale ed entra in conflittto con esso. In una società in cui l'emancipazione dall'indigenza rappresenta la necessità basica, i sentimenti possono attendere. Dalla famiglia di Nino quest'ottica si allarga al resto dei contesti affettivi: le relazioni paiono quasi tutte al ribasso, precarie, superficiali. Sembra di sentire il conterraneo Giovanni Verga: "L'amore è un lusso". E d'altronde a un amore impossibile allude anche la canzone di Franco Battiato che dà il titolo del film. Quanto a Gianni, questi è invece uno che ha già sperimentato la durezza della vita, quella che si concretizza nel bullismo da strada, nello stigma sociale, nel pregiudizio moralistico.

La relazione tra i due giovani esplode con la medesima dirompenza dei fuochi d'artificio, che sembra per un attimo poter spazzare via la dogmatica rigidità delle consuetudini sociali. Omettendo nelle famiglie dei due giovani qualsivoglia discussione o accenno al tema dell'omosessualità nella prima parte del film, ovvero prima che il legame sentimentale venga allacciato, il regista rende quindi narrativamente più efficace in quanto più imprevedibile la reazione dei familiari. Si tratta di un punto a favore nelle scelte di sceneggiatura.

Per quanto riguarda le inquadrature e i movimenti di macchina, si nota un uso reiterato (anche se a tratti autocompiaciuto) della carrellata, soprattutto in funzione descrittiva quando si vuole evidenziare il rapporto tra il personaggio e l'ambiente. A un certo punto del film, ad esempio, lo spazio antistante l'officina nella quale lavora Gianni, ovvero quello del bar vicino al quale compare una teoria di sfaccendati che compongono un mosaico sociale deprimente, è contemplato in una sorta di soggettiva che riproduce lo sguardo del giovane, quasi che questi cercasse una via di fuga da tale realtà. La breve distanza rispetto al punto di osservazione, inoltre, negando un ottimistico ampliamento della prospettiva, accentua la velleità di tale aspirazione. Velleità che diventa invece ottimismo negli ampi spazi aperti delle campagne, mete d'evasione dove il pettegolezzo malevolo e il pregiudizio si perdono nell'aria e vengono sopraffatti dall'intensità dei sentimenti.

Comoda, anche se troppo di maniera e abusata nel cinema italiano, la coincidenza temporale della trama con l'estate del trionfo mondiale della nazionale di calcio. Se da un lato, infatti, lo spettatore può non cogliere o soprassedere alla discrepanza filologica di due anni rispetto alla storicità dei fatti, la sensazione di déjà-vu che questi prova nelle sequenze in cui l'elemento visivo o auditivo celebra i trionfi sportivi è innegabile. Nonostante ciò, la tensione e l'intonazione drammaturgica risultano comunque preservate in tutta la loro rotondità. Infine, il regista sembra fare di tutto per tracciare un profondo solco rispetto ad un'altra pellicola nazionale dedicata al medesimo tema: "Chiamami col tuo nome" (2017). Se infatti nel film di Luca Guadagnino il milieu socioeconomico dei protagonisti costituiva una cornice all'interno della quale coltivare una visione ottimistica della realtà in rapporto alla vicenda, in quello di Giuseppe Fiorello l'esclusione dall'inquadratura dei ceti socialmente ed economicamente privilegiati sembra istituire una nitida equazione tra povertà e pregiudizio.


31/03/2023

Cast e credits

cast:
Gabriele Pizurro, Samuele Segreto, Simona Malato, Fabrizia Sacchi, Antonio De Matteo, Enrico Roccaforte, Roberto Salemi, Giuseppe Spata, Simone Raffaele Cordiano


regia:
Giuseppe Fiorello


titolo originale:
Stranizza d'amuri


distribuzione:
BiM Distribuzione


durata:
134'


produzione:
Fenix Entertainment, Ibla Film


sceneggiatura:
Andrea Cedrola, Giuseppe Fiorello


fotografia:
Ramiro Civita


scenografie:
Paola Peraro


montaggio:
Federica Forcesi


costumi:
Nicoletta Taranta


musiche:
Giovanni Caccamo, Leonardo Milani


Trama
Nella Sicilia della provincia profonda, mentre tutti scandiscono le loro giornate tra il lavoro e le partite dei mondiali di calcio del 1982, Nino e Gianni vivono la prima esperienza d'amore.