Con il patrocinio di Pedro Almodóvar, arriva alla Croisette dall'Argentina una commedia nera a episodi, come se ne facevano un tempo da noi a firma multipla, o del solo Dino Risi (per esempio). Il regista Damián Szifrón assolda una squadra di bellocci con almeno un divo di caratura internazionale, il Ricardo Darín de "
Il segreto dei suoi occhi", e riflette con cinismo su vizi personali e sociali, mettendo al contempo in ridicolo un sottogenere tanto, troppo serioso come quello del
revenge movie, invero già passato di moda da qualche anno. Fatto sta che la vendetta è senza dubbio il filo conduttore delle varie scenette di "Relatos salvajes".
Se l'incipit, che precede i titoli di testa, spiazza e folgora per come vira in tragicomico un incontro tra due passeggeri d'aereo che stanno abbozzando l'inizio di un corteggiamento, ma che ignorano di vantare una fatale conoscenza comune, che si scopre condivisa da tutti i compagni di viaggio, la pellicola non saprà più ripetersi alle stesse quote. E neanche lontanamente. Salvo in un episodio - in totale sono sei-, meno originale ma ottimamente costruito.
Il riferimento è alla satira della burocrazia argentina - ma il discorso si può estendere quantomeno al continente - della vicenda interpretata dal citato Darín, esperto di demolizioni dinamitarde che con zelo persegue i propri diritti di cittadino, con drammatici effetti controproducenti che lo spingono ad impiegare in ben altro modo le proprie competenze tecniche. A sorpresa, diventa un eroe popolare.
Con qualche sforzo interpretativo, in questo caso si può intravvedere, molto sullo sfondo, un discorso politico. Al contrario, decisamente disimpegnati appaiono gli altri capitoli del racconto, al cospetto dei quali ci si può abbandonare a un divertimento di grana grossa, ma non certo istruire una difesa d'ufficio in sede di analisi critica. Vale per tutti l'episodio della lite automobilistica risolta con un crescendo di sgarbi tra l'efferato e lo scatologico, innanzi ai cui esiti mortali la polizia prende un clamoroso abbaglio.
La struttura del film prevede una durata via via sempre più estesa, e questo - ahinoi - significa che la sequenza che lo chiude - davvero malamente -, è anche la più lunga. Una festa di matrimonio viene rovinata dalla scoperta del tradimento dello sposo, e la consorte si rivale in vari modi, anche applicando la legge del taglione. Se qui il soggetto sconta un evidente deficit di intelligenza, l'autore non ha neanche il coraggio di condurre la propria presunta cattiveria alle estreme conseguenze, e ci appiccica un improbabile lieto fine.
La scommessa dei selezionatori di Cannes di portare in concorso un prodotto molto diverso da quelli che vengono scelti di solito, per quanto apprezzabile per l'audacia, è dunque sostanzialmente persa. Anche se, forse, l'accanimento della critica internazionale è stato esagerato e ingeneroso, per un'opera discontinua, ma in fondo innocua.
16/06/2014