Ondacinema

recensione di Diego Testa
6.0/10

pieces of a woman

Non sorprende trovare una metafora didascalica come un ponte che rinvia ai due amori separati in un film di Kornél Mundruczó. Il suo cinema è fatto di parabole, la resistenza canina meticcia che si ribella al governo ungherese oppressore ("White God" 2014); e segnato da paraboliche contaminazioni filmiche, la fuga del profugo Aryan tra le maglie del confine ungherese ("Una Luna chiamata europa" 2017). La stilettata politica chiaramente lede il governo Viktor Orban, a causa delle cui percepite restrizioni sulla libertà artistica decide di muovere la produzione di "Pieces of a Woman" nel Nord America [1].

La crisi coniugale di Martha e Sean inizia dalla perdita di loro figlio a seguito di un parto volutamente casalingo curato da un’ostetrica. Si apre una voragine nella cellula famigliare e al contempo un interesse mediatico ruota attorno alla figura dell’ostetrica, considerata responsabile dall’opinione pubblica di Boston per la perdita del bambino.
"Pieces of a Woman" indulge con moto freddo e spettrale su questa divisione all’interno della coppia. Il movimento della camera gimbal voluta da Mundruczó, secondo le intenzioni del regista uno spettro che presenzia e osserva Martha e Sean [2], cataloga gli eventi estraendone frammenti. Prima di tutto in quel piano sequenza che volteggia sopra la tragedia, ne ausculta il suono vitale (viene evidenziato il battito del bambino nelle cuffie dell’ostetrica), si intrufola nelle stanze e si sofferma su inquadrature parziali. Tentativo del piano sequenza non di rappresentare la realtà nella sua unità di tempo e spazio ma di razionalizzare con la grammatica cinematografica un evento impossibilitato a svolgersi in tale minutaggio.
Questa indagine etereo-documentale fa di "Pieces of a Woman" un diario ellittico, senza flashback, proiettato in avanti nel tempo, spacchettato in stanze temporali sempre segnate dal ponte in costruzione.
Mundruczó mostra a intermittenza l’apatia silenziosa di lei e le esplosioni di dolore di lui: la prima vorrebbe riedificare sull’evento stesso e dare a esso un senso nel presente, il secondo vorrebbe archiviare il lutto.
Dunque la somma di metafore continua ad arricchire proprio queste due riflessioni sul lutto, preservandole in forme didascaliche che sottolineano due concetti opposti sul significato da trovare alla morte e soprattutto sul luogo in cui collocarla: nelle teche del museo scientifico oppure sotto una lapide?

Melò distaccato che conserva la patina mortifera anche negli spazi pubblici della storia. Martha è praticamente costretta a un processo contro l’ostetrica al quale lei non riesce a imputare alcuna colpevolezza. Mundruczó mette a nudo le forzature di un sistema famigliare, le pubblicizza alla stregua del modo in cui osserva, a più riprese, le nudità di Martha e Sean inibendone il valore sessuale di coppia.
La germogliazione del seme di mela, ci dice "Pieces of a Woman", è possibile solamente dopo il perdono; dopo aver completato un ponte che non serve a unire due parti ma a comprenderne il significato reciproco e permetterne un distacco pacifico.

"Pieces of a Woman" incasella il cinema del regista ungherese in moduli hollywoodiani ormai noti alla rappresentazione del dramma tra la sequela filmica contemporanea: macchina da presa tendente al realismo unita a impennate catartiche della scrittura e sottoposto a esemplificazioni metaforico-didascaliche.
Lo fa cercando di limare l’aspetto statico e dialogico della pièce teatrale a cui si ispira attraverso le due notevoli sequenze principali (il parto e il pranzo), scritta dalla moglie Kata Wéber sulla base di esperienze simili, attraverso la predilezione della camera a mano proprio nei dialoghi, aiutandosi con le voci lasciate fuoricampo (la cui scena finale simbolistica albero-frutto-bambino ne è apice) e la messa a fuoco estromissiva.
Un’alternativa europea eppure classica rispetto alle contaminazioni americane quali "Room" o "Storia di un fantasma", affine alle frequentazioni empatiche di Kenneth Lonergan o Jean-Marc Valleé. Nulla di veramente nuovo nel genere, se non per rigidezza e consapevolezza dello sguardo.

Nota a margine: Shia LaBeouf intrappolato nel personaggio dell'outsider bellicoso e problematico. Vedere per credere: "In viaggio verso un sogno", "Honey Boy", "Borg McEnroe".



[1] Fonte: intervista di Screendaily.com

[2] Fonte: intervista di Cineuropa.org


10/01/2021

Cast e credits

cast:
Vanessa Kirby, Shia LaBeouf, Molly Parker, Sara Snook, Iliza Shlesinger, Benny Safdie


regia:
Kornél Mundruczó


distribuzione:
Netflix


durata:
128'


produzione:
Little Lamb, Bron Studios


sceneggiatura:
Kata Wéber


fotografia:
Benjamin Loeb


scenografie:
Sylvain Lemaître


montaggio:
Dávid Jancsó


costumi:
Rachel Dainer-Best


musiche:
Howard Shore


Trama

Martha perde il figlio durante un parto casalingo voluto da lei e Sean. La coppia entra in crisi coniugale mentre l'opinione pubblica mette a processo l'ostetrica addetta al parto.

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Sito ufficiale