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recensione di Mirko Salvini
8.0/10

Dopo "El abrazo de la serpiente", presentato con grande successo a Cannes nel 2015, Ciro Guerra è diventato uno dei cineasti latino-americani più celebrati. Il suo film in bianco e nero sulle esplorazioni amazzoniche è stato anche il primo lavoro della Colombia a ricevere una candidatura all'Oscar nella categoria Miglior Film Straniero, e Guerra adesso è alle prese con la sua prima produzione internazionale, la trasposizione cinematografica di "Aspettando i barbari", libro dell'autore Premio Nobel J.M. Coetzee, nel quale dirigerà un cast prestigioso di cui fanno parte anche Mark Rylance, Robert Pattinson e Johnny Depp. Anche "Oro verde – C'era una volta in Colombia" (in originale "Pajaros de verano", uccelli della bella stagione) è passato da Cannes lo scorso anno dove è stato accolto molto bene. Stavolta Guerra divide l'onore e l'onere della regia con Cristina Gallego, esordiente dietro la macchina da presa, ma già sua collaboratrice in qualità di produttrice. Alla Gallego spetta anche il merito del soggetto di questo film, che arriva nelle nostre sale grazie all'iniziativa dell'Academy Two.

L'oro verde del titolo italiano sono le piante di marijuana e il film è ambientato durante il periodo della cosiddetta bonanza marimbera, agli albori del grande traffico di stupefacenti che ha reso il paese sudamericano tristemente noto al mondo ma che ha anche portato introiti straordinari alla malavita organizzata locale che con questo traffico si è arricchita. Bisogna però dimenticare i vari film e serie televive anche noti dedicati ai narcos, perché "Pajaros de verano" non è interessato tanto alle vicende di criminali che si arricchiscono grazie alla droga, ma all'indagare quanto questo nuovo lucrativo giro d'affari ha impattato con usi e tradizioni del popolo Wayùu,  intaccando inevitabilmente la loro plurisecolare visione del mondo. Al centro della vicenda, ambientata nella penisola della Guajira e idealmente divisa in cinque capitoli (o canti), c'è il giovane e ombroso Rapayet. All'inizio della storia, alla fine degli anni sessanta,  il protagonista chiede la mano della giovane e bella Zaida, figlia della matriarca Ursula. La dote richiesta dalla famiglia è piuttosto impegnativa ma Rapayet riesce a stare ai patti  perché ha incontrato un gruppo di giovani volontari americani disposti a pagare molto bene per avere dell'erba da fumare. Lui ha un cugino, Anìbal, che la coltiva, e un amico intraprendente, Moises, che lo aiuta a piazzarla. Ci sono tutti i presupposti per un lucroso business e anche se Ursula, donna dalla forte personalità, non sembra particolarmente entusiasta, si dichiara possibilista verso il genero, anche perché nipote di Peregrino, il fedele portavoce della famiglia. Severa e concreta, Ursula vive seguendo le regole del "mondo magico" della loro comunità prestando quindi molta attenzione alle abilità di Zaida nell’interpretazione dei sogni, anche quando gli auspici non sembrano particolarmente favorevoli. Moises si rivelerà presto una testa calda inaffidabile e poco rispettosa della cultura Wayùu, della quale comunque lui, essendo alijuna, non fa realmente parte. Per Rapayet presto diventerà un peso del quale sbarazzarsi, anche se in qualche modo continuerà ad essergli accanto in un'altra forma, suggerita dal titolo originale del film.

Passano gli anni, i figli crescono, il giro di affari si ingrandisce, i soldi aumentano e la famiglia si costruisce una villa nel deserto che potrebbe dare lezioni di stile alle magioni di tanti malavitosi italiani al centro delle recenti cronache. Non tutto però fila liscio: tanta ricchezza può dare alla testa, specie quando mette in discussione un intero universo simbolico. La sceneggiatura, scritta a quattro mani da Maria Camila Arias e Jacques Toulemonde Vidal, per sottolineare questo aspetto si serve della figura di Leonidas, l'altro figlio di Ursula. Giovane viziato, con un pericoloso debole per alcool e pistole, Leonidas coi suoi comportamenti offende la famiglia di Anìbal, arrivando addirittura a molestarne l'avvenente figlia Victoria. Ne seguirà una faida familiare che metterà a repentaglio in poco tempo la ricchezza accumulata negli anni, ricchezza bramata anche al di fuori della comunità Wayùu, anche se il finale è comunque aperto alla speranza.

Grazie alla loro sensibilità antropologica, Guerra e Gallego sono molto abili nel descrivere le ritualità ancestrali e riescono bene a suggerire il forte legame che la popolazione locale ha con gli elementi della natura. L'aspetto più interessante di "Pajaros de verano", nel quale la parabola di Rapayet e della sua famiglia ha una chiara valenza simbolica, è il vedere la nascita del narcotraffico come la diabolica profanazione di una cultura arcaicamente in simbiosi con il territorio. Il direttore della fotografia David Gallego asseconda i registi non solo riprendendo i paesaggi in maniera suggestiva ma alternando sequenze dalla grana neorealista a momenti di reverie visionari che ben figurerebbero in un film di Malick. Gli attori interpretano in maniera asciutta i propri personaggi, con una menzione particolare a Carmiña Martínez e Natalia Reyes, la madre e la figlia chiamate a rappresentare l'anima ferita e la sensibilità calpestata di un popolo.


14/04/2019

Cast e credits

cast:
Greider Meza, Juan Bautista, José Vicente Cotes, John Narváez, José Acosta, Natalia Reyes, Carmiña Martínez


regia:
Ciro Guerra, Cristina Gallego


titolo originale:
Pájaros de verano


distribuzione:
Academy Two


durata:
125'


produzione:
Snowglobe


sceneggiatura:
Maria Camila Arias, Jacques Toulemonde Vidal


fotografia:
David Gallego


scenografie:
Angélica Perea


montaggio:
Miguel Schverdfinger


costumi:
Catherine Rodríguez


musiche:
Leonardo Heiblum


Trama
Colombia, fine anni sessanta, la vita di una famiglia di indigeni è profondamente segnata dall'inizio del traffico internazionale di stupefacenti
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