Pare una favola, ma invece è un incubo. "Nightmare" è il punto di non ritorno del new horror cinema americano, il grado zero del terrore, in cui i temi, le ossessioni, gli squartamenti, a cui i giovani spettatori americani hanno assistito nel corso del decennio precedente, vengono sublimati in un unico grande calderone ribollente. Il mostro, la minaccia, non si nasconde più nella casa accanto, non è il freak ai margini della società di cui aver timore (come in "Non aprite quella porta" di Hopper o "Le Colline hanno gli occhi" sempre di Craven), e di certo non cela il proprio volto (spesso deforme) dietro ad una maschera (come Jason in "Venerdì 13" o Michael Myers in "Halloween"). La paura ora non ha più confini certi, è un babau che fa parte di ognuno di noi, e viene a prenderci di notte, mentre stiamo dormendo.
All'origine di "Nightmare" e del tremendo Freddy ci sono reminescenze infantili, sogni e, appunto, incubi. Craven, insegnante di liceo trapiantato dietro la macchina da presa, prende spunto per il suo mostro da un barbone che lo terrorizzava quando era piccolo. Il nome della "sua" creatura viene da quello di un bulletto che lo tormentava a scuola, e l'idea -geniale- del sogno che "uccide" è ispirata ad una serie di racconti apparsi sull' "L.A. Times", in cui un ragazzo terrorizzato dai propri sogni cercava in tutti i modi di non addormentarsi (per poi lasciarci le penne).
Ma a lasciare il segno nel film di Craven è soprattutto la fredda descrizione del mondo "reale", arido e desolato, contrapposto a quello onirico, altrettanto inquietante, in un vertiginoso cortocircuito sensoriale in cui è sempre più arduo distinguere i due universi (vedi il finale). L'America di provincia messa in scena dal regista è fatta di allegre casette colorate, con il liceo che campeggia al centro del paese, come in ogni college movie che si rispetti. Ma non c'è traccia di bambini in giro, e gli adolescenti sono già incasinati da par loro, ben prima dell'arrivo dell'artigliato maniaco. Nelle parole di Craven, "Nightmare" è sempre voluto essere un film fortemente "politico", in cui il malessere generale, lo sbando del paese, si riflettono nella fine di ogni sogno o speranza per le nuove generazioni (sognare equivale a morire), in cui non esistono più punti di riferimento a cui aggrapparsi, e gli adulti, vuoti e incapaci di capire, non sono di grande aiuto o conforto per i loro figli.
Pensateci bene. In tutta la pellicola non c'è un personaggio che abbia una situazione famigliare rosea alle spalle. Tina, la prima vittima, vive con la rozza madre single, e quando la figlia viene ammazzata "se la sta spassando con un amico a Las Vegas". I genitori di Nancy, la protagonista, sono separati da tempo. La madre fugge dai problemi attaccandosi alla bottiglia, mentre il padre (capo della polizia locale) è convinto che la figlia sia impazzita, e si ricrederà solo troppo tardi. I genitori del teppistello Rod si intravedono giusto al suo funerale, mentre quelli di Glen (un giovanissimo Johnny Depp) sono i più perbenisti, nonché odiosi: non vogliono che il figlio frequenti la "folle" Nancy, le riattaccano il telefono in faccia quando lei vuole avvisarli del pericolo, condannando il ragazzo ad un atroce fine (le sue interiora sono letteralmente "vomitate" sul soffitto, in un delirante crescendo splatter).
E poi c'è Freddy (qui più formalmente chiamato Fred), ovvero la strega, l'uomo nero. Krueger è la coscienza sporca degli abitanti di Springwood che torna a bussare alla porta, l‘ombra di un passato che rifiuta di essere dimenticato. Assassino e stupratore di bambine giustiziato dai genitori di Elm Street, che lo bruciarono vivo, Freddy, con il volto terribilmente ustionato, torna per finire il proprio "lavoro", per portare via con sé l'ultimo barlume di innocenza rimasto agli incauti genitori. Craven sa come creare la paura e dirige con una raffinatezza insolita per i suoi standard dell'epoca. La tensione, e la potenza metaforica del film sono tali che permettono di far digerire anche alcune simbologie sin troppo banali (Nancy, la bella, contro Krueger, la bestia), e certe storture di sceneggiatura, piuttosto risibili (la protagonista che costruisce delle trappole mortali con più facilità di Rambo, le -rare- incursioni di Krueger nel mondo "reale", che tradiscono l'idea alla base della pellicola).
Il risultato scosse, e convinse, il pubblico dell'epoca, regalando al film un buon successo commerciale (due milioni di dollari di budget, ventisei incassati), amplificato dai sequel realizzati negli anni successivi. Craven mise lo zampino solo in altri due capitoli, non a caso i più convincenti dopo il capostipite. Scrisse la sceneggiatura di "Nightmare 3 - I guerrieri del sogno" spingendo la serie verso territori più fantasiosi e fiabeschi, introducendo poi humour nero in dosi massicce (aiutato in ciò dall'interprete di Krueger, Robert Englund, che donò al personaggio un fare baldanzoso da esibizionista, più volte scopiazzato in tanti horror contemporanei), e girò nel 1994, esattamente a dieci anni di distanza dal film originale, "Nightmare - Nuovo incubo", in cui, la riflessione non è più sull'incubo contrapposto alla realtà, ma sul cinema horror e la sua influenza nella società (tema affrontato dal regista pure nella trilogia di "Scream"). Freddy Krueger diventa un'incarnazione demoniaca che invade il mondo "reale", e che turba i sogni di Wes Craven, dei produttori della New Line, e dell'attrice che interpreta Nancy, Heather Langenkamp, affinché gli dedichino un'ulteriore pellicola, perché il suo ricordo continui a vivere.
E, nonostante alti e bassi, Krueger continua ad essere un'icona spettrale, terrificante e sempre presente, che, almeno una volta, ha visitato i sogni di noi tutti.
cast:
Heather Langenkamp, Robert Englund, John Saxon, Johnny Depp
regia:
Wes Craven
titolo originale:
A Nightmare On Elm Street
durata:
91'
produzione:
New Line Cinema
sceneggiatura:
Wes Craven
fotografia:
Jaques Haitkin