Ondacinema

recensione di Dario Gigante
6.5/10

Una rockstar. Il suo pubblico: l'arena è gremita. Canta Luciano Ligabue. E ad ascoltarlo, c'è l'Italia intera. Uno stuolo di alcune migliaia di uomini e donne che, con le loro storie individuali e collettive, con i sogni realizzati e infranti, le miserie e gli splendori di esistenze minute e, in fondo, irripetibili come ciascuno lo è di noi, rappresenta, per metonimia, il Paese tutto, nelle sue contraddizioni, nel battito irregolare di un polso sfuggente al tatto. Il battito che "Niente paura" (il film, presentato Fuori Concorso a Venezia), sulla scorta delle canzoni di Ligabue, delle testimonianze di volti noti e ignoti, di immagini e paesaggi, storie e cronache che più o meno ci appartengono, tenta di rilevare.

Piergiorgio Gay c'incantò, nel 2002, dirigendo Sergio Rubini e Bruno Ganz nella tragi-commedia "La forza del passato" (ricordate?). Ma Gay è, innanzitutto, un consumato documentarista, che, forte dell'esperienza nel campo, si cimenta, affiancato, in fase di sceneggiatura, dal poliedrico Piergiorgio Paterlini (giornalista, drammaturgo, e la lista prosegue), nell'impresa, meritoria più che innovativa, di realizzare un affresco dell'Italia contemporanea e trascorsa, nel quale, alla maniera del Lorenzetti, convivano la Storia istituzionale e quadretti di più intima quotidità. Un'indagine il cui scopo ultimo è riflettere su quanto l'odierno scenario politico e sociale rispecchi i valori e principi che sono stati alla base della fondazione della Repubblica, e che la Costituzione, citata nei suoi articoli più significativi con dovizia di (didascalici) cartelli sovrimpressi, nella saggezza dei suoi oltre sessant'anni, ancora proclama. Il bilancio che ne deriva non sarà, com'è facile supporre, entusiasmante: ingiustizie, disparità e controversie che appaiono come una flagrante smentita dei contenuti costituzionali, nessuno degli intervistati, dalla studentessa d'origine albanese al giovane bancario che lamenta un'incrinatura degenerativa dei valori affermando che, oggi, "tutti vogliono viaggiare in prima", sembra ignorarle. Così come Luciana Castellina, con la sua sconsolata constatazione che ormai il "Grande Fratello" ha occupato gli spazi dell'utopia politica, o Carlo Verdone, che denuncia il divario fra una cultura intrisa di cattolicesimo e la profonda immoralità dei costumi d'oggigiorno. Come Stefano Rodotà, che sottolinea, rammaricato, la caduta degli attuali partiti di massa nel più bieco populismo. Temi di estremo interesse e delicatezza. Per questo, un'impresa meritoria.

Eppure, nonostante le intenzioni, di qualcosa, "Niente paura", difetta, per guadagnare i ranghi dell'eccellenza o anche solo per imprimersi nella memoria dello spettatore e prosperarvi. O forse, rovescio della medaglia, di troppo abbonda. Inseguendo l'ideale di una panoramica esaustiva degli ultimi decenni e delle loro risultanze nell'Italia aggiornata al 2010, Gay e Paterlini non risparmiano nulla, nessuno dei "luoghi" cardine della storia recente. E, adoperando lo stesso, diligente piglio da manuale di Giordana , Rulli e Petraglia ne "La meglio gioventù" (che, però, durava tre volte tanto), eccoli prodigarsi in un compendio degli anni di piombo (il delitto Rossa e la strage di Bologna), delle carneficine mafiose (Capaci e Via D'Amelio), dei principali eventi internazionali (la caduta del muro di Berlino), dei trionfi sportivi (i Mondiali di calcio del 1982 e del 2006), dei fatti più dolorosi e discussi del secolo in corso (il G8 di Genova o la morte di Eluana Englaro). A una suggestione si associa l'altra, e la mole del materiale assume proporzioni che il regista fatica a dominare. Tant'è vero che, alla fine, accanto alla tensione emotiva nei confronti di persone che, a differenza dei giurati dei talent show, ancora possiedono il dono del pensiero e rifiutano di annegare nel cinismo dell'apparenza, s'insinua l'impressione che il film non renda loro onore, ma si limiti a una superficiale carrellata di opinioni incapaci, non perché frivole, ma perché troppe, di spingersi più in là di un impressionistico abbozzo di riflessione. L'unilateralità ideologica (puta caso, di sinistra) non aiuta di certo. Al contrario, problematiche sensibili, di quelle a cui non vi può essere soluzione che non sgorghi dal confronto franco tra idee divergenti, questioni come i flussi migratori (e l'immigrazione clandestina) o il testamento biologico, vengono appiattite e svilite proprio perché affidate alle testimonianze di soggetti che, palesemente, la pensano allo stesso modo. E vengono assoldati come (in)consapevoli ambasciatori del punto di vista degli autori.

Carlotta Cristiani, montatrice d'essai, al servizio, tra gli altri, di cineasti con l'iniziale maiuscola come Silvio Soldini e Marina Spada, assembla componenti eterogenee, tra girato e repertorio, con un garbo che regala alla pellicola una fluida limpidezza. La scelta di certi raccordi, tuttavia, appare ispirata a una retorica abbastanza banale: l'imbarcazione di Soldini, Giovanni, cede la scena a Vlora, la nave su cui, nel 1991, arrivarono a Bari ventimila albanesi; il goal di Javier Zanetti alla partita di hockey fra atleti disabili (in sottofondo, "Una vita da mediano"). E, considerato nel suo insieme, il film non riesce a porsi al di sopra di una trasmissione di Rai Educational abilmente confezionata. Da certi peccati televisivi, purtroppo, non è immune nemmeno Gay, primo fra tutti il ricorso all'ospite tuttologo, interpellato su argomenti non proprio di sua competenza: Margherita Hack, nel discorrere (senza pudore, e con certa improprietà) del caso Englaro come della debole laicità delle istituzioni, recita immancabilmente se stessa, o ciò in cui il piccolo schermo l'ha trasformata. Non mancano sequenze davvero commoventi. Sabina Rossa, nel ricordare il padre Guido, come nel parlare, con severo contegno e pacatezza, del suo assassino, fornisce un saggio di elevata statura civile. Don Luigi Ciotti ci abbraccia con la sua passione da prete di frontiera, e ci emoziona nel rimembrare, commosso, la povera Rita Atria. Benché l'autentica chicca degli 85 minuti di montato, diamone atto al regista, è lo spezzone televisivo in cui, timido e imbarazzato, dietro un paio di voluminosi occhiali, riconosciamo, in una delle sue prime apparizioni pubbliche, un giovane Pier Vittorio Tondelli, scrittore esordiente e già perseguitato dall'accusa di oscenità. Mentre il suo concittadino Ligabue legge uno dei passi più belli e intensi di "Altri libertini". Peccato che la didascalia ringiovanisca il libro di otto anni, datandolo 1988 (sic), svista che in un documentario risulta più fastidiosa che altrove.

Non si esce con molte speranze, da un'opera soffusa da un pessimismo strisciante. In un Paese in cui sembra rimanerci solo la musica. E a proposito di uscire, un consiglio. Coloro che avessero la malsana abitudine di abbandonare la sala senza leggere i titoli di coda, si trattengano, questa volta. Pena la perdita dell'epilogo a sorpresa.


18/09/2010

Cast e credits

cast:
Luciana Castellina, Fabio Volo, Umberto Veronesi, Margherita Hack, Javier Zanetti, Sabina Rossa, Luigi Ciotti, Beppino Englaro, Carlo Verdone, Giovanni Soldini, Stefano Rodotà, Luciano Ligabue


regia:
Piergiorgio Gay


distribuzione:
Bim Distribuzione


durata:
85'


produzione:
Lumière & Co, Bim Distribuzione, Fondazione Smemoranda, Riservarossa


sceneggiatura:
Piergiorgio Gay, Piergiorgio Paterlini


fotografia:
Marco Sgorbati


montaggio:
Carlotta Cristiani


musiche:
Luciano Ligabue


Trama
L'Italia. Di oggi e di ieri. Un viaggio lungo la nostra storia e le nostre storie, a bordo delle canzoni di Ligabue
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