Io mi ricordo tutte le volte che avevo la voce bassa, e avevo paura di salire sul palcoscenico. Mi ricordo i fiori dentro i camerini, le donne fuori dei camerini che dicevano che volevano conoscermi, mi trovavano interessante, ma poi si finiva sempre a letto. Dicevano che ero bello. Ma io non mi sono sentito mai bello: io mi sentivo potente. Non me n'è fregato mai un cazzo di nessuno.
Tony Pisapia ne "L'uomo in più"
Il copione della vita
Chi ha pensato, vedendo una delle numerose pubblicità di Mediolanum, "la banca costruita intorno a te", che il testimonial (Ennio Doris, il presidente della banca) somigliasse a Berlusconi? Sicuramente Paolo Sorrentino, che apre il film mentre Ennio e Silvio chiacchierano a tavola: il primo è il doppelgänger del secondo, o viceversa. La sequenza è un passo a due che illustra le innate qualità di venditore di Silvio Berlusconi: un venditore è un uomo solo con la capacità di contagiare il prossimo con il suo sogno. Silvio deve solo riguadagnare fiducia in se stesso, perché, come celia Ennio, basterebbero sei senatori a far cadere il governo Prodi e, per lui, non dovrebbe essere un'impresa titanica. È musica per le orecchie di Silvio, poiché in questo confronto allo specchio rivede se stesso, brillante, sorridente, ottimista: il vitale uomo del fare che gli italiani hanno amato e che, in parte, amano tutt'ora.
Per mettersi alla prova, Berlusconi decide di scegliere un nome a caso dalla rubrica telefonica di Verona; la scena è tecnicamente ineccepibile nella sua semplicità: la macchina da presa si fissa su Toni Servillo e lo segue, staccando di tanto in tanto sulla signora. Ci sono solo loro due: lui che le telefona in piena serata, lei che, pur non avendo voglia di ascoltare, resta a sentire cos'ha da proporle, convinta dalla melodia di questo pifferaio magico. Servillo, in un acuto di virtuosismo attoriale, mostra una graduale trasformazione che avviene all'interno della medesima scena. Notiamo Silvio abbandonare le vesti del politico e anche quelle del viveur, perdendo persino l'accento meneghino: caduta una maschera ne compare un'altra da venditore napoletano, che freme, si eccita, vive per quel momento in cui intuisce che ha abbattuto ogni sistema difensivo, entrando nel cuore di uno sconosciuto. Berlusconi non è solo Lui ma è già Loro: quando la signora, sorpresa dalle conoscenze del suo interlocutore, chiede come faccia a sapere tutti quei dettagli, Silvio risponde che conosce "il copione della vita". Conoscendolo, vi si può adattare, reinterpretandolo alla sua maniera: egli si adatta alla vita, così come adatta la verità a seconda della sua abilità di venditore.
Il secondo pannello dedicato all'ex cavaliere è un tentativo di avvicinamento al mistero del suo potere in un movimento narrativo sostanzialmente speculare a quanto visto in "
Loro 1": non mancano le cene in villa, le feste e pure il bunga-bunga (sebbene in una versione assai
soft), ma non sono quelle le scene che stanno a cuore a Sorrentino (che si è già sfogato e divertito nella prima parte). "Loro 2" prova a mettere in scena l'
hangover, il dopo-sbornia o, per rimanere sulla metafora sessuale, la depressione post-coitale. Qual è il figlio dell'accoppiamento tra Silvio e gli italiani? Sorrentino, come scritto in relazione al film precedente, è partito dalla mutazione antropologica indotta dell'età berlusconiana e dall'immaginario da lui plasmato: un immaginario edonista che ha le radici nella tv, nella pubblicizzazione di una realtà alternativa che a molti - anche all'estero - ha ricordato una forma di lavaggio del cervello. Così come il primo segmento era dominato da colori saturi, mancanza di profondità di campo,
jump-cut e dolly, il secondo, pur non perdendo questi tratti stilistici, si rivela ben più sobrio, come forse Sorrentino non era mai stato: molti carrelli laterali, numerose simmetrie ma anche numerose scene di dialogo in campo e controcampo, raffinati
tableaux chiaroscurali e
décadrage atti a potenziare l'idea di solitudine metafisica che circonda il protagonista. Anche quando parla con qualcun altro, l'inquadratura contiene spesso solo Silvio, l'unico personaggio sempre messo a fuoco. E in tal senso, la semi-soggettiva della scena del bunga-bunga, in cui le ragazze sono fuori fuoco, spiega quello che viene detto all'inizio: un venditore è l'uomo più solo del mondo, perché non ascolta e - aggiunge Sorrentino - nemmeno vede. E non perché non può ma perché non vuole, poiché sente la sola necessità della propria voce e dei propri bisogni.
Macerie
Sorrentino ha da sempre dimostrato di essere attratto da personaggi potenti, soli, inesorabilmente avviati al viale del tramonto. Un meraviglioso declino quello descritto dalle sue parabole umane che, talvolta, si sono inceppate su uno stile roboante e postmoderno o su una storia farraginosa e non troppo ispirata. Con "Loro", però, ha mostrato di avere le idee chiare sin dal prologo muto, dove si vede una pecora entrare dentro la villa in Sardegna di Berlusconi: anche se non c'è nessuno, il climatizzatore è in funzione e scende precipitosamente sotto lo zero, mentre la tv è accesa su un quiz presentato da Mike Bongiorno. La pecorella sente freddo, si irrigidisce, ma rimane ipnotizzata dalle immagini televisive fino a rimanerne vittima (o è solo l'ipotermia?). Sorrentino apre il suo dittico, 200 minuti di cinema ambizioso e spregiudicato che dovrebbero essere rivisti senza soluzione di continuità, con un'allegoria lineare e facilmente decriptabile: gli italiani, innamoratisi di queste immagini luccicanti e patinate, sono rimaste a guardarle, pur sentendo puzza di morte.
Come accennato, la fame rapace, la spinta vitalistica del primo capitolo si è esaurita e l'atmosfera decadente, da ultimi giorni dell'impero, permea l'intera pellicola: ai party ci si sforza di ridere a barzellette usurate, le ragazze ballano seminude sperando di attirare le attenzioni del gaudente imperatore, ci si umilia, magari, con l'obiettivo di ottenere un posto in tv. Risuonano le vere parole della Lario quando parlava di "un ciarpame senza pudore. E tutto in nome del potere...figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo e la notorietà", ma in questo ultimo giro di giostra c'è poco glamour e niente erotismo, quanto piuttosto "l'odore della casa dei vecchi" (per citare
Jep Gambardella). Il Silvio di "Loro 2" è, dunque, la messinscena di una messinscena che nasconde solo un uomo anziano, tenacemente aggrappato a un esercizio del potere narcisista ed egoriferito, che si bea delle ragazze intorno a lui e delle canzoni che gli dedicano. Il videoclip con le "olgettine" che cantano "Menomale che Silvio c'è" sarebbe uno di quei lampi surreali tipicamente sorrentiniani, se non fosse che la canzone esiste davvero. Il compendio di immaginario berlusconiano propiziato dalle lisergiche televendite di "Loro 1" raggiunge l'apice con gli spot delle improbabili fiction Mediaset, come "Congo Diana" interpretata da Kira, attrice nel solco di alcune protagoniste di "
Boris": è il percorso delle giovani donzelle, piazzate a forza in tv anche a costo del più imbarazzante dei
miscasting, per poi, in un secondo momento, riutilizzarle nel teatro politico, in una contiguità tra i due ambiti che, nell'era berlusconiana, condividono il medesimo linguaggio.
L'unico personaggio che si sottrae a tale schema è Veronica, la quale costringe il marito a un ultimo confronto prima del divorzio: in questo lungo dialogo che permette al regista di realizzare un sommario di "
Scene da un matrimonio" nel momento più doloroso del berlusconismo, la donna chiede al marito di gettare la maschera, di essere sincero almeno una volta. Silvio, quasi schiavo del suo stesso personaggio, svicola con una battuta: "mi avvalgo della facoltà di non rispondere". Una perpetua autocelebrazione che scherma la realtà, la allontana, così da preservare l'anarchia del proprio potere in un empireo artificiale dove il tempo si è fermato.
Una delle leggi sul comico teorizzate da Henry Bergson ne "Il riso" postula che "gli atteggiamenti, i gesti e movimenti del corpo umano sono ridicoli nell'esatta misura in cui tale corpo ci fa pensare a un semplice meccanismo". E il corpo di Silvio che interpreta ogni volta un ruolo diverso, in base all'interlocutore che ha di fronte (il politico, l'imprenditore, il venditore, il corruttore, il seduttore), dimostra nei gesti e nella retorica di ripetere un copione imparato a memoria, e il suo corpo contraffatto sempre tra-vestito rivela la matrice finzionale, intrinsecamente comica, del proprio agire. La commedia è davvero la grammatica più precisa per rileggere il mistero del berlusconismo e Sorrentino qui firma davvero un saggio di bravura, sfiorando l'eredità
felliniana, poiché comprende che non ha bisogno di filmare la realtà con la lente deformante del grottesco, bensì gli basta descrivere realisticamente una verità grottesca. Alludendo spesso alla cronaca (vicende giudiziarie, interviste ormai note, intercettazioni), Contarello e Sorrentino rimangono all'interno perlustrazione intima e interiore del personaggio, mettendo in serie un'acuta rispondenza con gli eventi italiani. Le sequenze ambientate all'Aquila, tra cui l'ultima, muta e ieratica, fungono da correlativo oggettivo del
requiem di un'epoca. Gli italiani così come Morra&Co, per quanto anelino a raggiungere Lui, a toccarlo, a sostituirlo, sono destinati a rimanere fuori, al freddo, tristi e soli. Dietro a una cortina di parole e di maschere di scena, si cela l'inconoscibile verità sul potere di Berlusconi, una verità irrappresentabile che nemmeno lui vuole vedere.
12/05/2018