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recensione di Lorenzo Taddei
7.0/10

In un villaggio perduto fra le montagne, in un luogo qualunque del Maghreb o della penisola arabica, arriva il giorno che le donne incrociano le gambe. Contro le millenarie tradizioni, contro i mariti che le sottomettono in nome di un'autorità che dicono sancita dal Corano. Da sempre le donne hanno il compito di accudire la casa e la prole, e da sempre devono occuparsi di rifornire il villaggio d'acqua. Anche se questo significa portare pesanti secchi sulle spalle, cadere per la fatica, o per il terreno accidentato. Anche se questo provoca la morte dei bambini che esse portano in grembo.

Nonostante sia ispirato a fatti realmente accaduti (una decina di anni fa, in Turchia) la didascalia introduttiva prende subito le distanze dalla realtà, annunciando il film come una favola.
In verità si ha l'impressione che tra le opere più recenti di Mihaileanu, "La sorgente dell'amore" sia  quella maggiormente realistica, con una regia più vicina al documentario che al fantastico, più simile a "Vai e vivrai" che non agli acclamati "Train de Vie" o "Il Concerto". Gli spunti più grotteschi - non dimentichiamo che Mihaileanu ha lavorato per anni in Italia, come aiutoregista a Marco Ferreri - presenti in questi ultimi due, sono sostituiti da una narrazione più lineare, meno incline a slanci surreali o tragicomici. La chiave fiabesca è pur mantenuta attraverso le citazioni de "Le mille e una notte", un testo fondamentale della cultura araba e simbolo di uguaglianza, in quanto opera anonima, che meglio di qualsiasi altra può appartenere a tutti.

Dopo aver dipinto la fuga di un intero villaggio di ebrei verso la terra promessa, aver narrato le rocambolesche vicende di ebrei-russi o dei "Falascia", gli ebrei-etiopici, Mihaileanu stavolta sceglie di raccontare il cambiamento di un piccola comunità musulmana. Per affermare la necessaria partecipazione attiva delle donne alla vita sociale, affinché l'umanità possa davvero evolversi. Ma anche per esprimere il proprio dissenso verso ogni forma di fondamentalismo religioso, che nasce e si sviluppa su interpretazioni parziali e distorte dei testi sacri. La siccità che incombe sul villaggio è un problema reale e diffuso, che riguarda tutta la terra, ma allo stesso tempo è metafora di un'altra grave mancanza che riguarda il mondo di oggi, ovvero l'incapacità di comunicare, l'aridità affettiva nei rapporti relazionali.

Non è un caso che ne "La sorgente dell'amore", più che in ogni altro suo film, Mihaileanu abbia privilegiato la musica, e soprattutto il canto e la danza, come "mezzo di comunicazione".
Il più puro, il più profondo. Attraverso cui possiamo avvicinarci al folclore e alla tradizione popolare della comunità araba.
Non le bellissime musiche di Bregovic, che accompagnano il sogno del "Treno della Vita", né l'armonia raggiunta dall'orchestra ne "Il Concerto". Stavolta il canto e la danza e la musica popolare sono occasione quotidiana di espressione e scambio di opinioni. Cito testualmente il regista: "Il canto è un modo per affermare la propria posizione in maniera indiretta, senza porsi in netto contrasto con la parte antagonista: è un espediente tipico del pensiero e della cultura mediorientale da cui la civiltà occidente avrebbe molto da imparare."

Lo "sciopero del sesso" non è quindi un modo per combattere gli uomini, bensì un gesto con cui le donne tentano di avvicinarli, per essere comprese, per manifestare il diritto di essere ascoltate, di avere pari dignità e valore dinanzi a Dio e a se stesse. E' lo stesso sciopero proposto da Lisistrata nella celebre commedia di Aristofane, ripresa anche dal grande Monicelli in "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno". Un modo creativo - e non manca certo di umorismo - con cui Mihaileanu ribadisce la sua poetica, incentrata sulla capacità dell'essere umano di sdrammatizzare - lui che ha vissuto la sua giovinezza sotto il regime di Ceausescu - di reagire ai soprusi con l'ironia, alla tirannia con l'umorismo.
Anche ne "La sorgente dell'amore" un evento tragico, come la morte iniziale del bambino, è seguito da una rielaborazione del dolore che genera l'idea del cambiamento. E' nella tragedia che Leila la "forestiera" (la brava e bellissima Leila Bekhti) e  la "vecchia lupa" (traduzione di "vieux fusil" vecchio fucile o "mother rifle" madre fucile, interpretata da Biyouna) uniscono le loro forze per convincere le altre donne del villaggio.

Gli uomini, pur costretti all'astinenza, reagiscono solo con la violenza e la pretesa, riponendo tutte le loro ragioni nell'intoccabilità delle consuetudini. Il "vecchio" si ostina a resistere al "nuovo", com'è splendidamente rappresentato nella scena in cui la "vecchia lupa", seduta in groppa all'asino, lo maledice per averle fatto perdere il campo - è sola in mezzo al nulla e il campo è quello del cellulare.
Soltanto Sami (Saleh Bakri), l'unico uomo veramente innamorato della sua donna, sale finalmente a prendere l'acqua alla fonte. Cede al "ricatto" e supera l'orgoglio ferito dalla rivelazione di sua moglie. Sarà anche grazie al suo intervento, che il governo porterà finalmente l'acqua al villaggio. Acqua e amore, come un'unica sorgente di vita.

Per saperne di più: Intervista a Radu Mihaileanu - Speciale La sorgente dell'amore


13/03/2012

Cast e credits

cast:
Leïla Bekhti, Hafsia Herzi, Biyouna , Sabrina Ouazani, Saleh Bakri, Hiam Abbass, Mohamed Majd, Amal Atrach


regia:
Radu Mihaileanu


titolo originale:
La Source Des Femmes


distribuzione:
Bim distribuzione


durata:
135'


produzione:
Elzévir Films, Europa Corp., Indigo Films


sceneggiatura:
Alain-Michel Blanc, Radu Mihaileanu


fotografia:
Glynn Speeckaert


scenografie:
Christian Niculescu


montaggio:
Ludo Troch


costumi:
Viorica Petrovici


musiche:
Armand Amar


Trama
Per rivendicare i propri diritti, Leila e la "Vecchia Lupa" guidano le donne del villaggio in uno sciopero singolare, quanto efficace: lo sciopero dell'amore.
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