Dopo l'esordio al lungometraggio con "O kalyteros mou filos" (letteralmente "Il mio migliore amico") commedia surreale sulle disavventure reali ed immaginarie di Konstadinos il regista greco Lanthimos dirige con "Kinetta" il suo primo lavoro personale, quasi programmatico dei successivi "Kynodontas" (Un certain regard, Cannes 2009) e "Alpeis" (Miglior sceneggiatura, Venezia 2011). Se con la sua opera prima, per certi versi accostabile al Solondz di "Happiness", inscenava una commedia brillante dai toni dark, surreale, ma comunque godibile da un ampio pubblico con "Kinetta" rinuncia alla quasi totale visibilità della sua opera per iniziare un lavoro di scavo profondo nell'immagine e nella concezione dell'essere umano. La trama del film -qualora ve ne fosse una- narrerebbe di due uomini, un poliziotto ed un fotografo, che coinvolgono delle donne nel loro gioco di riproduzione fittizia e registrazione video di eventi violenti realmente accaduti o semplicemente immaginati. Una delle donne, cameriera di un albergo semideserto nella stagione invernale, si fa implicare dal "gioco" a tal punto da iniziare a simulare la propria morte anche in privato. Tutto si interrompe con l'arrivo dei primi vacanzieri sul finire dell'inverno.
I dialoghi si frantumano nei rumori ambientali, la telecamera -sempre mossa a mano- va spesso fuori fuoco e inquadra dettagli più o meno rilevanti lasciando intravedere in lontananza la scena in cui l'azione si svolge operando una depersonificazione dei soggetti defilati a confuse immagini di contorno. Sono quindi spesso dei dettagli a prendere il sopravvento e a dominare la scena grazie ad una narrazione che predilige il marginale ed il margine, la cornice che inquadra ed il mero attributo accidentale nel quale alla fine i personaggi si risolvono -l'uomo è il dettaglio. Andando così in direzione opposta ad un cinema inteso come intrattenimento per il pubblico -nel quale è fondamentale la complessiva intelligibilità degli eventi per poter comprendere il mondo descritto nella sua interezza, un mondo comprensibile e in quanto tale rassicurante- troviamo nell'idea di cinema che sta alla base di "Kinetta" un realismo rappresentativo interrotto e sfuocato che procede per salti e "imperfezioni" e che nel riproporne visivamente la costante inadeguatezza ottiene la sua maggiore vicinanza con la vita stessa. Situandosi nel risultato tra la crudezza hanekeiana e la morbosità cronenberghiana Lanthimos trova il suo personale sentiero seguendo un'estetica dell'immagine imperfetta che perfettamente descrive l'inadeguatezza dell'uomo nella società contemporanea.
Un lungo discorso sottende tutto il film, ma articolato dalla grammatica delle immagini che annienta la parola pronunciata: concise affermazioni unilaterali, rari e stringati dialoghi lacerano la superficie del film - il più lungo di questi è la traduzione in greco di comuni parole slave. I personaggi smarriscono tanto la parola da perdere addirittura i nomi proprii (ennesimo elemento che accomuna questo film a "Kynodontas" e "Alpeis"), ma il nome non è altro che il vessillo di una persona, come la parola stessa non è altro che un significante veicolo di significati. Le parole nella loro interscambiabilità tra un linguaggio e l'altro conducono il medesimo significato, gli individui -senza nome- nella loro interscambiabilità tra un atto e la sua replicazione conducono il medesimo senso. O meglio, i protagonisti di "Kinetta" vorrebbero replicare un atto per acquistare un senso di cui sono privi. Infatti, la possibilità di replicare praticamente ogni cosa (parole e esperienze formative in "Kynodontas", addirittura la presenza di un essere umano in "Alpeis") attraverso una meccanica della sostituzione è il filo rosso da seguire per raggiungere il cuore delle pellicole di Lanthimos. Uomini incapaci di provare emozioni proprie ne ricercano le tracce nell'inscenare, nel ripetere, interpretare tragici avvenimenti di cronaca, stupri, omicidi che nella loro reiterazione sono evidenti nel loro pallido bagliore di copie. Come un vuoto abisso è l'uomo di Lanthimos.
"Kinetta" -che è il nome di una località balneare nei pressi dell'istmo di Corinto, ma anche quello di una macchina da presa- è una delle più ostiche pellicole che vi potrà capitare di vedere non concedendo nulla alla fruibilità, ma nel continuo farsi inseguire dallo spettatore sembra sempre sfuggire ogni possibile de-finizione. Serve costanza per tenerne il passo e non lasciarsi sopraffare, serve un salto nel vuoto per sprofondare nella meraviglia. Un piccolo capolavoro invisibile.
cast:
Evangelia Randou, Aris Servetalis, Costas Xikominos, Hector Kaloudis
regia:
Giorgos Lanthimos
titolo originale:
Kinetta
distribuzione:
Haos Films
durata:
95'
produzione:
Athina Rachel Tsangari
sceneggiatura:
Giorgos Lanthimos, Yorgos Kakanakis
fotografia:
Thimios Bakatakis
scenografie:
Anna Georgiadou
montaggio:
Yorgos Mavropsaridis
musiche:
Stefanos Efthymiou