La "cantina" è un tema che ricorre in quasi tutte le opere di Ammaniti. Una volta è la stanza delle caldaie, una volta i sotterranei di un parco, un'altra un buco nel terreno. E di esempi ce ne sarebbero ancora. Sono rifugi, al riparo dalla luce del mondo. Ma soprattutto purgatori. Profondità in cui i personaggi si immergono prima di tentare - non sempre ci riescono - la risalita.
Lorenzo (Jacopo Olmo Antinori) e Olivia Cuni (Tea Falco) non fanno eccezione. Lorenzo è un ragazzino di quattordici anni in piena riedizione edipica, che finge di trovarsi a suo agio, a scuola e in famiglia, per non avere problemi. Così anziché partire con la classe per la gita in montagna, prepara le scorte e scende a rinchiudersi in cantina. I genitori sono felici di saperlo finalmente un ragazzino "normale", integrato fra i suoi coetanei. E lui è finalmente libero. Nessuno ci mette piede, in cantina. L'idea di starsene da solo, a leggere e ascoltare musica lo entusiasma, ma i suoi piani non hanno tenuto conto di Olivia. La sorellastra bandita dalla famiglia, che dopo anni torna nella sua vita. E là sotto, anche se per motivi del tutto diversi, Olivia sceglie di rimanere.
In una prefazione che scrisse per un libro di Fante, Ammaniti distingueva tra "scrittori da prateria" e "scrittori da tana": i primi sono "lupi affamati che si gettano sulla vita e ne strappano brandelli producendo combustibile per le loro storie", i secondi invece "vivono ai margini della prateria, o
sotto", temono la realtà e osservano il mondo con circospezione, "pronti a gettarsi nei rifugi non appena qualcosa li impensierisce".
Analogo al sotterraneo di Ammaniti, seppur meno cupo, ricorre nella filmografia di Bertolucci il tema dell'appartamento, nel senso letterale di appartarsi, tagliare col mondo e i suoi condizionamenti, stabilire nuove regole e sperimentarsi, come avviene in "The Dreamers" o "Io ballo da sola" e anche nel più lontano "Ultimo tango a Parigi".
"Claustrofilia" il regista ha definito questo suo tratto in comune con lo scrittore, una predilezione per i luoghi chiusi, che possono essere al contempo prigioni e fucine d'immaginazione. In un mondo in cui tutti siamo collegati e rintracciabili, basta scendere qualche scalino per scomparire. Una tentazione forte: più nessuno a cui render conto, nessun bisogno illusorio da soddisfare. Il rischio diventa farci l'abitudine e perdere il desiderio di confrontarsi con gli altri, rinunciare del tutto alla socialità.
Dopo gli ultimi anni trascorsi chiuso in casa Bertolucci ha deciso di rimettersi in gioco e lo ha fatto scegliendo un film che rappresentasse anche la sua risalita, la sua liberazione.
Ecco perché rispetto ai suoi film precedenti, non c'è nessun riferimento alla politica, al mondo esterno: si tratta di una questione personale, che riguarda i giovani personaggi della finzione ma anche la vita reale del vecchio maestro che li dirige.
E allora mi chiedo: perché il film mi ha deluso?
Il punto è che non sono riuscito a entrare in empatia con i personaggi, come invece mi è successo leggendo il romanzo di Ammaniti. Persino il ballo sulle note di "Ragazzo solo, ragazza sola" (versione italiana di "Space Oddity" testo di Mogol, interpretata sempre da
David Bowie) non sortisce lo stesso effetto del ballo accompagnato da Montagne Verdi di Marcella Bella presente nel romanzo.
Il rapporto edipico di Lorenzo con la madre nel film è solamente accennato, le sue difficoltà nel relazionarsi con i compagni di scuola, le strategie adottate per passare inosservato, la profonda solitudine e al tempo stesso il desiderio represso di essere accolto, sono tutti aspetti che il film sfiora appena.
Bertolucci ha preferito rinunciare alla voce narrante del protagonista, togliendo così di mezzo i ricordi e le riflessioni di Lorenzo che nel romanzo più di tutto connotano la sua personalità. Si è affidato totalmente alle immagini, in una ricerca del dettaglio o dell'allegoria che a volte riesce davvero alla perfezione (l'incontro con Olivia che si toglie il cappello e libera i capelli, il moto perpetuo dell'armadillo imitato da Lorenzo, lo zoom sul formicaio) ma che nel complesso è una dimostrazione di abilità che non accorcia la distanza dallo spettatore.
Una buona idea mi è parsa invece rappresentare i momenti di introspezione del protagonista attraverso la musica, che dalle cuffie del ragazzo si amplifica a coprire ogni altro rumore, creando quella specie di silenzio alternativo che ognuno di noi ha conosciuto (una cosa simile avviene in "
Come dio comanda" di Salvatores, tratto anch'esso da un romanzo di Ammaniti).
Non tradisce, come sempre nei film di Bertolucci, la colonna sonora che comprende, oltre alla già citata versione italiana di Space Oddity e alle musiche originali del maestro Piersanti (che ha collaborato a lungo con Nanni Moretti e Gianni Amelio), pezzi dei
The Cure (Boys Don't Cry),
Muse (Sing For Absolution),
Red Hot Chili Peppers,
Arcade Fire.
Decisivo e altrettanto curato il casting. Il giovanissimo Jacopo Olmo Antinori (Olmo era anche il nome del personaggio interpretato da Gerard Depardieau in "Novecento" di Bertolucci) non sorprende certo per le sue ancora acerbe capacità, ma è dotato di uno sguardo docile e inquietante che soprattutto nei primissimi piani ricorda quello di Malcolm McDowell in Arancia Meccanica. Molto azzeccata anche la scelta di Tea Falco, fotografa di origine catanese (sono sue le foto che si vedono nel film e ricordano le installazioni di Mark Jenkins) il cui marcato accento siculo contrasta splendidamente con la femme fatale e i lunghi capelli biondi che saltano fuori dal cappello.
Lascia un po' perplessi, la scena in cui racconta la sua (vera) biografia, una specie di tributo o pubblicità fuori contesto.
Anche il finale scelto da Bertolucci si discosta da quello del romanzo, secondo lui troppo moralista.
Prima di riemergere nella luce del giorno Lorenzo e Olivia si scambiano una promessa, che in parte Olivia ha già infranto.
Il dolly si eleva a impersonare un destino che osserva sornione i due fratelli accomiatarsi, riprendere ognuno la propria strada nel mondo, con ancora addosso le proprie paure, ma una nuova volontà di esistere.
Presentato allo scorso festival di Cannes, dove ha ottenuto dodici minuti di standing ovation, "Io e te" celebra il ritorno sul grande schermo di Bernardo Bertolucci e questo basta e avanza per applaudire.
27/10/2012