Ondacinema

recensione di Pietro S. Calò
7.0/10

È finalmente giunta sul grande schermo la faticosa ricostruzione di una impresa titanica.
Si è chiusa con un accomodamento la querelle tra la Icon, la casa di produzione di Mel Gibson, e la Voltage Pictures, rea, secondo Mel e il regista del film, P.B. Shemran, di aver limitato il progetto iniziale e di aver esercitato proditoriamente il diritto al final cut. In buona sostanza, il film distribuito non è quello che Icon si aspettava, ma l’imminenza del lancio nelle sale statunitensi, previsto per maggio, ha chiuso una questione che proprio in quei giorni sarebbe ricorsa in appello.
In effetti, stonano alcuni nodi narrativi, fino a un finale fin troppo accomodante e a una serie di concessioni alla drammaturgia poco coerenti con l’approccio secco e problematico delle produzioni Icon e del libro stesso che ne è alla base. Libro, "L’assassino più colto del mondo" di Simon Winchester, che, pubblicato nel 1998, viene subito opzionato da Gibson che vorrebbe dirigerlo e interpretarlo. Per interpretarlo, Mel sceglie saggiamente di attendere qualche anno, quando la sua fisicità sarebbe stata più congruente con quella del protagonista, sir James Murray; quanto a dirigerlo, lascia presto il timone al fido Shemran, già co-sceneggiatore di "Apocalypto", e il cui vero nome è Farhad Safinia.

Il primo ciack è del 2016, a Dublino, e nascono già i primi dissidi, poiché la Icon avrebbe voluto girare gli interni nella Oxford University, mentre il budget del film, che a consuntivo raggiungerà i 25 milioni di dollari, impone economie. Insomma, un film nel film.
Murray, uno scozzese corpulento e barbuto, espone per mezzo del suo amico Furnivall (Steve Coogan) il suo ambizioso progetto: reperire e catalogare tutte le parole in uso nel mondo anglosassone, un impero che si estende per un quarto della superficie terrestre, cui aggiungere gli Stati Uniti da poco affrancati (siamo alla metà dell’800). Tali parole dovranno essere altresì ricostruite nella loro etimologia (impresa davvero difficile, quando una lingua non può poggiarsi sulla solida base greco-romana di noi latini), e suffragate da brani della letteratura nel corso dei secoli.
La Oxford University, in qualità di casa editrice, giudica infatti il progetto di quasi impossibile realizzazione, ma ancor più nutre dei dubbi su Murray, che non solo è scozzese, ma anche autodidatta; un saggio della sua profonda erudizione accomoda le cose: il progetto parte, con molti dubbi, pochissime risorse e una fede incrollabile di pochi entusiasti che si vorrebbe estendere ai comuni lettori (che, a metà Ottocento, proprio comuni non sono), i quali sono invitati, attraverso volantini allegati ai libri che comprano, a segnalare parole e loro uso traendole dal libro che hanno in mano. Le risposte sono modeste, tranne un fantomatico mr Minor (Sean Penn), instancabile (alla fine saranno diecimila i lemmi consegnati) quanto schizofrenico capitano dell’esercito americano. Che scrive i suoi bigliettini con i ceppi alle caviglie.
Perciò, il glorioso Oxford Dictionary è il frutto di uno scozzese senza titoli e di un assassino americano.

Il film, avvelenato dalle vicende produttive, parte da una storia già di per sé avvincente e romanzesca, che la sceneggiatura, pur rimaneggiata, impreziosisce nei minimi dettagli. Infatti, la minuziosa ricostruzione storica mette in valore ogni palla, mestolo, cappello, calamaio, armadio della casa dignitosa ma modesta abitata da Murray e dalla sua numerosa famiglia (la famiglia numerosa è una realtà, e il pallino di Gibson), ogni procedura di sorveglianza e controllo del manicomio, dove si intravvedono i primi timidi passi di un approccio moderno alla malattia mentale, fino al tisico fuocherello che non scalda né illumina il tugurio dickensiano in cui vive la vedova Merrett (Natalie Dormer).
La cinepresa si muove quasi sempre ad altezza d’uomo, spesso ingobbita nei movimenti cifotici della lettura di uno, cento, mille biglietti, dell’andatura costretta dalle catene, della spina dorsale oppressa dalla fame e dal freddo; raramente si alza a sovrastare, e quando lo fa incornicia un cielo sempre plumbeo, in quell’Impero su cui non sorge mai il sole; magistralmente, infine, si mette in spalla all’operatore, nella prima sequenza, quella in cui il sessantenne Sean Penn corre e spara a schiena dritta su un selciato scivoloso e buio, e che degrada attraverso gradini infidi fino alla catapecchia dove si consuma la tragedia.
Nel tripudio di una palette marrone di un cielo che non schiarisce mai, e che prolifera in una natura che non germoglia e offre solo foglie già secche di autunno, spiccano gli occhi blu di Penn, piccoli e febbrili, e quelli verdi di Gibson, grandi e ammaliati. Su tutto, discreta, ancillare, la musica del collaudato e pre-moderno Bear Mc Creary, lontana dalla pompa elisabettiana ma già inoculata dall’ottimismo di una impresa ormai prossima.
Peccato averlo dovuto vedere doppiato: l’incrocio delle riminiscenze scozzesi di Gibson ("Braveheart"), dello yankee di Penn, e del perfetto accento oxfordiano, avranno di sicuro un forte impatto sonoro, così come quella che, anche tradotta, resta una bella battuta: "Sia benedetta la tua madre lingua", che Murray dice al secondino che ha spedito, ma prima affrancato, con la saliva, i diecimila bigliettini spediti allo studioso.
Fa specie, nel racconto e nella diegesi, la totale mancanza di Shakespeare, mentre sono largamente rappresentati il Milton del "Paradiso perduto" e il Dickens delle "Grandi speranze", entrambi anche evocati, il primo nell’abisso di Minor, il secondo nella struggente discesa della vedova, con i bambini orfani che acciottolano fiammiferi nelle scatole. Entrambi sfuggiranno al loro destino, con la polvere di stella di un giovanissimo sir Churchill (Brendan Patricks) che, ministro dell’Interno, trova una brillante soluzione al calvario di Minor, per poi ritornare ai suoi grattacapi, ormai alla vigilia della Grande Guerra. Nel frattempo, con un rassegnato sorriso, Murray e Furnivall origliano nella stanza delle ragazze dove si parla già una lingua nuova, gerghi e idioletti che negli undici volumi dell’Oxford Dictionary non hanno, per il momento, trovato posto, in una guerra che non finirà mai.
Petaloso.


07/04/2019

Cast e credits

cast:
Eddie Marsan, Natalie Dormer, Steve Coogan, Sean Penn, Mel Gibson


regia:
P. B. Shemran


titolo originale:
The Professor and the Madman


distribuzione:
Eagle Pictures


durata:
124'


produzione:
Fastnet Films - 22h22 - Caviar Antwerp NV - Definition Films - Icon Entertainment International - Zi


sceneggiatura:
John Boorman - Todd Komarnicki - Farhad Safinia - Simon Winchester (autore del saggio)


fotografia:
Kasper Tuxen


scenografie:
Anca Rafan


montaggio:
John Gilbert - Dino Jonsäter


costumi:
Eimer Ni Mhaoldomhnaigh


musiche:
Bear McCreary


Trama
Dopo mille traversie giudiziarie, l'avventurosa storia dell'Oxford English Dictionary. Un professore senza titoli e un erudito con personalità multiple scrivono uno dei libri più sfogliati del mondo.