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recensione di Giuseppe Gangi
8.0/10

il collezionista di carte the card counter paul schrader

Nel corso degli anni è stato più volte sottolineato come Paul Schrader, autore del saggio "Il trascendente nel cinema. Ozu, Bresson, Dreyer", seminale studio sullo stile trascendentale, non abbia "mai messo in pratica il proprio 'manifesto'" in quanto "il suo cinema deve pochissimo stilisticamente alla lezione di Ozu e di Bresson"[1]. Per quanto le generalizzazioni su una carriera che ha attraversato quattro decenni (cinque, se si contano i lavori da solo sceneggiatore) siano facilmente attaccabili, non si può che attestare come mentre i grandi temi della sua opera teorica più preziosa presidino saldamente il suo cinema, dello stile trascendentale si possano apprezzare solo dei segni, delle tracce.
Il progetto estetico-cinematografico che Paul Schrader rinnova in ogni decennio prevede infatti la convergenza di due tradizioni cinematografiche e stilistiche da lui amate e studiate: lo stile noir e lo stile trascendentale. "American Gigolò" (1980), "Lo spacciatore" (Light Sleeper, 1992), "The Walker" (2007), "First Reformed" (2017), "The Card Counter" (2021), tutti preceduti ovviamente dallo script del capolavoro scorsesiano "Taxi Driver" (1976), formano un canone che lo stesso regista ha più volte definito "a man in a room"[2] (fig. 1).


Fig. 1. A Man In A Room: "Taxi Driver" di Martin Scorsese,
"Lo spacciatore", "First Reformed" e "Il collezionista di carte" di Paul Schrader.

"First Reformed" abbracciava apertamente la tematica religiosa, seguendo da una parte il Bresson di "Il diario di un curato di campagna" e dall'altra il Bergman di "Luci d'inverno", in una declinazione molto contemporanea della passione del pastore in crisi e tormentato ed è, in questo senso, il primo film schraderiano che approssima (pur non aderendovi compiutamente) lo stile trascendentale. "Il collezionista di carte" (stolida traduzione di "The Card Counter") si propone quale sintesi matura di una formula che il regista ha più volte interrogato e reinterpretato. Anche noi interrogheremo il suo film cercando di analizzarne il racconto secondo il metodo dettato dallo stesso Schrader in "Il trascendente nel cinema", e di rilevarne gli elementi formali preminenti.


Le fasi dello stile trascendentale
(attenzione, possibili spoiler)

L'ex-soldato William Tillich, dopo il congedo con disonore e otto anni e mezzo di carcere, si guadagna da vivere come giocatore d'azzardo a tempo pieno, spostandosi di casinò in casinò e di motel in motel. Oscar Isaac ne definisce la maschera impassibile in una raffinata interpretazione, giocata di sottrazione, con mimica ridotta al minimo e la voce a tratti atona, rendendo credibile l'insopportabile fardello del protagonista, il quale, essendo stato uno dei carcerieri di Abu Grahib, non reputa la sua colpa espiabile secondo i tempi della legge umana. Sicché, una volta libero, il protagonista vive seguendo una rigorosa liturgia: apparentemente senza fissa dimora, il mobilio di ogni stanza di motel da lui abitata viene impacchettata con candide lenzuola e la camera trasformata in un asettico sudario che ogni notte lo attende.
Anche il gioco è un rito praticato con freddezza, di cui ci vengono spiegati i calcoli probabilistici e le percentuali di vittoria, un modo per passare il tempo fuori da se stesso castrando quanto più possibile il piacere dell'azzardo. Giocatore anomalo, William conta le carte di Black Jack e predilige le piccole somme ai grandi tornei: più che un gambler è un monaco, un asceta del gioco. Ogni sera scrive su un diario meditando sulla sua storia e sul suo mestiere, come faceva "lo spacciatore" LeTour nelle sue notti insonni: sulle spalle ha tatuate le parole "I trust my life to Providence, I trust my soul to Grace"[3].


Fig. 2. La quotidianità: la scrittura del diario (modellato su "Il diario di un curato di campagna" di Robert Bresson), le stanze impacchettate meticolosamente e il gioco vissuto senza ebbrezza sono i riti che costruiscono la prigione nel mondo di Bill.

La presentazione è dunque la descrizione della quotidianità (fig. 2), primo momento dell'andamento triadico dello stile trascendentale. Alla quotidianità, che scandaglia l'incedere nella superficie del mondo, segue la scissione "che introduce una 'intensità umana' in una quotidianità che non lascia spazio ai sentimenti - una intensità innaturale, che cresce sempre di più finché, al momento dell’evento decisivo, rivela la sua origine spirituale"[4]. Se il gigolò Julian Kay o lo spacciatore John LeTour erano, da presunti innocenti, inquisiti narrativamente nel tentativo di mondare colpe interiori, William non ha bisogno di alcun subplot poliziesco in quanto ritiene irredimibile il proprio peccato e il proprio senso di colpa (e lo ribadisce in un intenso monologo, capolavoro di recitazione e scrittura). Schrader rimodula la metafora della prigione cara a Bresson: l'anima di William non aspira - almeno inizialmente - né all’automortificazione del martirio né al carcere, poiché ricostruisce nel mondo esterno una prigione molto più grande (per citare il Woo-jin di "Old Boy"). Le sbarre della quotidianità si incrinano quando conosce Cirk (Tye Sheridan) un giovane che ha un'ossessione maniacale per John Gordo (Willem Dafoe), il comandante mercenario che ha istruito sia il protagonista sia il padre del ragazzo (violento e morto suicida) nelle tecniche di interrogatorio potenziato. William decide di prenderlo sotto la sua ala protettrice, vincendo per lui una somma di denaro sufficiente a farlo ripartire da zero e distraendolo dai suoi propositi omicidi.
Cirk è l'altro da sé ancora innocente e la possibilità di salvarlo rende esplicito il senso del nuovo nome dell'ex-soldato Tillich che si fa chiamare William Tell, come il celebre eroe svizzero. Gordo è un'incarnazione del Male, maieuta del peccato che ha manipolato e liberato la parte più bestiale del protagonista riconoscendone la naturale predisposizione alla tortura e alla violenza. L'evento decisivo della scissione non reca in sé segni del divino, poiché si trasmuta nel redde rationem del noir, quando l'anti-eroe pare impazzire "sotto il peso di dieci anni di disperazione"[5] realizzando come non vi sia alcuna speranza di futuro. Tell incontra alla fine Gordo, il suo Avversario: la collisione che si sviluppa è soprattutto interiore e, come tale, resta fuori campo, mentre la macchina da presa inquadra una stanza vuota accuratamente coperta dalle lenzuola bianche. Nell'ultimo momento dello stile trascendentale vi è la stasi, "quella scena inerte, immobilizzata o ieratica che segue l'evento decisivo e che chiude il film. (...) È, in breve, un'icona"[6]. Non stupirà, dunque, se Schrader riprende per l'ennesima volta la Grazia del finale di "Pickpocket", avvicinandola iconograficamente al celebre dettaglio della "Creazione di Adamo" michelangiolesco, non risolvendo il problema umano e morale rappresentato da Tell, ma trascendendolo (fig. 3).


Fig. 3. La stasi, l'icona che conclude il film: dal modello bressoniano di "Pickpocket"
alle variazioni di Schrader ("American Gigolò", "Lo spacciatore" e "Il collezionista di Carte").


Forme noir all'ombra della Grazia

L'eleganza formale che da "American Gigolò" a "First Reformed" informa le pratiche di messa in scena del cinema schraderiano è un distillato di tecniche asciugate e opportunamente levigate nel corso degli anni: se nella pellicola del 1980 si potevano scorgere divagazione ed esperimenti (come pillow shot, campi vuoti), in "First Reformed" il rigore formale è pressoché totale, inarcandosi solo in senso espressionista (memore della lezione visiva de "L'ultima tentazione di Cristo"). L'eleganza formale di "Il collezionista di carte" è ottenuta innanzitutto tramite la precisa disposizione dei punti luce, spesso in chiave bassa come nella tradizione del noir. La tessitura plastica dell'immagine è fondamentale per sagomare lo spazio fisico e metafisico nel quale si muove il protagonista, permettendogli di condurre la propria esistenza nell'ombra (fig. 4). La gamma cromatica di colori freddi che cede al neon - e "American Gigolò" è una delle opere cardine di tale estetica - allestisce un'atmosfera rarefatta, potenziata dalla pratica di William di impacchettare il mobilio delle stanze dei motel con bianche lenzuola, sedendosi al tavolino a scrivere nella penombra.


Fig. 4. Animali notturni: gli antieroi schraderiani sono uomini che guidano solitari nella notte bagnata dai neon ("Taxi Driver", "American Gigolò", "Il collezionista di carte", "Lo spacciatore").

La macchina da presa, spesso fissa con lenti grandangolari, lentamente segue i movimenti dei personaggi sottolineando come Schrader si sottoponga a delle regole, così da definire la realtà esperita da William come fatto psichico: la sua quotidianità è stilizzata in chiave mistica, più che realistica. La trasgressione a tali regole avviene nel ritorno, sotto forma di incubo, dell'inferno di Abu Grahib, in cui la macchina da presa ocularizza l'osceno schivando sia il rischio della spettacolarizzazione, sia il freddo referto documentale. L'esito è un piano-sequenza in soggettiva allucinato dal fisheye (con un effetto tridimensionale) in cui la bassa definizione della fotografia e il corredo sonoro di martellante musica metal formano un aggressivo e improvviso assalto sensoriale (fig. 5).


Fig. 5. L'inferno di Abu Grahib torna sottoforma di incubo allucinato.
Gordo, l'Avversario, guida e trasforma Bill in un torturatore.

Rispetto al modello dello stile trascendentale, il regista ha codificato una grammatica filmica ibrida, sintetica e antitetica al contempo, in quanto rispondente a esigenze di natura opposta: da una parte l'ascetismo e la ricerca del sacro dello stile trascendentale e dall'altra l'immanentismo e il peso del corpo del noir. Schrader adopera in modo disinvolto quegli elementi della messa in scena che Bresson chiamava "paraventi" o "schermi" e che servono a condizionare e a guidare la fruizione e la comprensione degli spettatori: composizione e palette dell'inquadratura, angoli di ripresa accentuati, uso emotivo della colonna sonora, tropi del noir, presenza di attori celebri (e spesso talentuosi) sono coessenziali e parte integrante dell'estetica messo a punto dal regista. A tal proposito, basti pensare al gambling utilizzato prima come metafora esistenziale; poi quale punteggiatura che congiunge una scena alla seguente; in seguito, come agone vero e proprio per mezzo delle cui vincite William può riscattare Cirk; infine, come catalizzatore di suspense e sottotrama abbandonata ex abrupto, quasi a letteralizzare la sua funzione di paravento.
La chiave noir de "Il collezionista di carte" diviene la seduta d'analisi di un inconscio collettivo assediato dai propri fantasmi incarnati dal personaggio di Tell, che con un certo disgusto guarda un giovanotto urlare tronfio "U.S.A! U.S.A.!" dopo ogni mano vincente di poker. Non è un caso che l'evento decisivo del film si svolga nell'oscurità penombrale di uno spazio liminare che è metaforicamente l'antinferno, in cui William Tell si confronta nuovamente con l'Avversario così da spurgare le proprie colpe (fig. 6). Se l'interno dell'ultima camera è occultato al nostro sguardo (ma non al nostro orecchio), che rimane sul "limitar di Dite", non è per una nostra superiorità morale (abbiamo anche noi visto quel delirio di sangue e merda che è Abu Grahib), bensì perché William, in quel procedimento immanentista e masochista tipicamente schraderiano, ha scelto deliberatamente di addossarsi i peccati di tutti.


Fig. 6: Bill incontra l'Avversario. La resa dei conti del noir schraderiano allestita da Bill come ultima liturgia.


[1] G. Pedullà, Perceval, Usa, in P. Schrader, Il trascendente nel cinema. Ozu, Bresson, Dreyer, Donzelli, Roma, 2010, p. XXVII.
[2] Cfr. Interview with Paul Schrader, "Projections" 15, Issue 1, primavera 2021, pp. 78-87. Consultato online 5 settembre 2021.
[3] Trad. it. "Affido la mia vita alla provvidenza. Affido la mia anima alla grazia", un verso di "World on Fire" dei The Call, la band di Michael Been autore delle musiche di "Lo spacciatore". Robert Levon Been, figlio di Michael (deceduto nel 2010) e frontman dei Black Rebel Motorcycle Club, ha composto la colonna sonora di questo film.
[4] P. Schrader, Il trascendente nel cinema. Ozu, Bresson, Dreyer, Donzelli, Roma, 2010, p. 61.
[5] P. Schrader, Notes On Film Noir, in "Film Comment", Vol. 8, No. 1 (primavera 1972), p. 12. Traduzione mia.
[6] P. Schrader, Il trascendente nel cinema, cit., p. 72.


04/10/2021

Cast e credits

cast:
Oscar Isaac, Tye Sheridan, Tiffany Haddish, Willem Dafoe


regia:
Paul Schrader


titolo originale:
The Card Counter


distribuzione:
Lucky Red


durata:
110'


produzione:
Saturn Streaming, Astrakan Film AB, RedLine Entertainment


sceneggiatura:
Paul Schrader


fotografia:
Alexander Dynan


scenografie:
Ashley Fenton


montaggio:
Benjamin Rodriguez Jr.


costumi:
Lisa Madonna


musiche:
Robert Levon Been, Giancarlo Vulcano


Trama
William Tell (Oscar Isaac), un ex carceriere di Abu Ghraib finito in prigione per otto anni in seguito alle violazioni dei diritti umani di cui si è macchiato, si guadagna da vivere come giocatore di poker professionista. Nel fare ciò incontra La Linda (Tiffany Haddish), il cui impiego è quello di mettere in contatto i giocatori d'azzardo coi finanziatori, tuttavia rifiuta le sue proposte in quanto intenzionato a dare il meno nell'occhio possibile. La sua esistenza viene sconvolta quando incontra Cirk (Tye Sheridan), un giovane intenzionato a uccidere il vecchio comandante (Willem Dafoe) dell'ex soldato. Per William l'incontro con il giovane si rivela un'occasione per redimersi e si propone di riformarlo, grazie all'aiuto di La Linda.