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recensione di Luca Sottimano
5.5/10

"È l’America, scegli qualcosa", dice al protagonista lo zio Charlie. Limpida sentenza che racchiude l'altrettanta limpida essenza de "Il bar delle grandi speranze - The Tender Bar", ma che, in fondo, rivela più uno scacco. Se fossimo stati 10 anni fa, senza aver visto il film, avremmo potuto pensare che la frase abbia un tono sarcastico. Il suo regista, George Clooney, dall’esordio con "Confessioni di una mente pericolosa" (2005) a "Le idi di marzo" aveva dato prova di un acuto sguardo critico sul suo Paese, presente anche nella sottovalutata commedia "In amore niente regole". Invece, qui non c’è nessun doppio senso: Clooney fa un passo indietro di fronte a un'opera che ha comunque il suo centro altrove, nel versante intimistico, e che quindi si colloca più sulla linea del precedente "Midnight Sky", anche per la scarsa originalità del risultato complessivo, che vanifica quanto di buono mostrato coi primi lavori.

Adattamento del libro di memorie omonimo di J. R. Moehringer, "The Tender Bar" è un coming of age che segue il suo protagonista dall’infanzia, da quando negli anni ’70 si trasferisce con la madre Dorothy nella casa del nonno a Manahasset (Long Island), fino all’età adulta. Abbandonato dal vero padre, che lavora come speaker radiofonico e si dimentica di pagargli i viveri, ne trova uno putativo nello zio Charlie, figura di riferimento e maestro di vita, che gestisce il "Dickens", il bar del titolo pieno di libri e di gente affabile. Lì nasce il suo sogno di diventare scrittore.

L’impronta biografica del film è chiara fin dall’inizio, in cui la voice over del protagonista ci introduce e commenta le vicende, sempre narrate dal suo punto di vista. La macchina da presa si adagia al suo volto, e tutta l’atmosfera sembra una proiezione dei suoi ricordi: nelle ambientazioni prevale una patina giallo-ocra, il taglio della luce è sempre morbido. Ruolo fondamentale lo gioca l’onnipresente colonna sonora, che propone una collezioni di brani celebri dell’epoca: la fotografia calda e l’uso di musica di repertorio potrebbe richiamare "La stanza delle meraviglie" (in cui la storyline che riguardava il protagonista maschile è ambientata negli anni ’70), ma l’obiettivo qui è ben lontano dall’effetto "immersivo" del film di Haynes, niente di più che uno strumento di facile presa sullo spettatore.

Sottotraccia, però, la storia del film abbraccia i valori più smaccatamente americani: lo zio Charlie è "un autodidatta", nelle case sventola la bandiera a stelle e strisce, alla sera si va al bowling, la morale finale è: lasciarsi tutto alle spalle, salire in auto e partire all’avventura per seguire i propri sogni. L’ambientazione richiama un mondo che non c’è più, fatto di macchine da scrivere, di telefoni fissi attacati al muro, di redazioni di quotidiani in era pre-digitale. Si respira dunque un’aria classica, anche nella regia: Clooney propone una messa in scena elegante ma senza guizzi, se non per qualche breve zoomata.

Non che questo sia di per sè un problema, anzi il film si avvale della sincerità del racconto, dal non scadere nel melodramma, senza puntare troppo sul sentimentalismo, o nell’elegia: il suo focus è la parabola del protagonista, non la ricostruzione storica. Ma lo diventa quando questo scade nell’ingenuità narrativa: come rappresentazione delle memorie del protagonista che rivive il suo passato con malinconica edulcorazione, lo svolgimento è privo di un momento veramente tragico, i conflitti sono sempre risolti. Così come le caratterizzazioni dei personaggi sono sempre precise e nette, lo zio Charlie è un carismatico esempio di una mascolinità positiva quasi fuori tempo, tanto quando il vero padre lo è, come ubriacone violento, di una negativa; ma l’happy end è assicurato.

In questo modo, però, l’assenza di approfondimento dei caratteri, di una complessità della storia che eviti di toccare le consuete tappe (il primo, impossibile innamoramento, il successo scolastico, la mancata riconcialiazione col padre) rende lo svolgimento prevedibile e ben poco originale. Manca infatti un motore, un conflitto che dia spessore e interesse al percorso del protagonista, del tutto intuibile fin dall’inizio. Quello che lo caratterizza è diventare scrittore, è così sarà, senza altre implicazioni e sfumature. È inoltre sintomatico il fatto che il film metta al centro il tema della scrittura, sia pieno di citazioni e riferimenti a testi e scrittori, renda così palese il fatto di partire da una fonte autobiografica…eppure non utilizzi mai tutto questo per una riflessione anche solo vagamente metatestuale. E così, "The Tender Bar" è in definitiva un film piacevole, ma del tutto dimenticabile.


23/01/2022

Cast e credits

cast:
Ben Affleck, Tye Sheridan, Christopher Lloyd, Lily Rabe, Max Casella


regia:
George Clooney


titolo originale:
The Tender Bar


distribuzione:
Prime Video


durata:
106'


produzione:
Big Indie Pictures, Smokehouse Pictures


sceneggiatura:
William Monahan


fotografia:
Martin Ruhe


scenografie:
Kalina Ivanov


montaggio:
Tanya M. Swerling


costumi:
Jenny Eagan


musiche:
Dara Taylor


Trama
Diretto dal regista George Clooney e tratto dalle memorie dell’omonimo best-seller, The Tender Bar segue le vicende di un aspirante scrittore (Tye Sheridan) che insegue i suoi sogni romantici e professionali. Da uno sgabello nel bar di suo zio (Ben Affleck), impara a crescere grazie a un variegato gruppo di personaggi locali.
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