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recensione di Vincenzo Chieppa
6.0/10

Per il suo esordio al lungometraggio, Chloé Mazlo torna a parlare di Libano, argomento già affrontato nel suo secondo corto, "Deyrouth". Il Libano dei suoi genitori, emigrati in Francia dopo la guerra civile scoppiata nel 1975, che in "Sous le ciél d’Alice" è argomento centrale, che interviene a sconvolgere una narrazione da commedia sentimentale naïf.

Negli anni Cinquanta la giovane Alice lascia il suo paese natale, la Svizzera, per l’esotica Beirut, dove ha trovato un impiego da ragazza alla pari. Qui conosce Joseph, uno scienziato impegnato a sviluppare un improbabile programma spaziale libanese, con l’obiettivo di mandare sulla Luna un razzo di sua ideazione, sebbene ancora in fase sperimentale. Tra i due è amore a prima vista, si sposano, hanno una figlia. Dopo quasi vent’anni il Libano piomba nel caos a causa della guerra civile scoppiata in un paese che alle tensioni interne già latenti vede assommarsi gli effetti collaterali (e nefasti) della questione israelo-palestinese.

Chloé Mazlo utilizza la storia dei suoi genitori per costruire un film originale più nello stile che nei contenuti, con una Alba Rohrwacher novella Amélie, più credibile nel suo ruolo di madre quarantenne che in quello (comunque efficace) di ingenua ventenne ammaliata dal fascino esotico di una nazione così diversa dalla Svizzera italiana da cui proviene.
Proprio come in "Deyrouth" Mazlo mescola stop motion (le scene ambientate in Svizzera) e live action, dando atto della sua formazione nel mondo dell’animazione. Ma in realtà tutto "I cieli di Alice" è un susseguirsi di tecniche visive e stilistiche che conferiscono al film un aspetto di genuina e suggestiva naïveté artigiana: dai fondali dipinti, in stile impressionistico, davanti ai quali recitano gli attori in alcune scene in esterni, a quello altrettanto fittizio, ma stavolta costituito da un’immagine fotografica, davanti a cui sobbalza l’automobile che accoglie Alice al suo arrivo in medio-Oriente. Un’automobile guidata da una donna eccentricamente vestita di cerchi verdi per renderla una donna-cedro, che in una scena memorabile va a piazzarsi di fronte a un muro a strisce bianco-rosse per ricreare la bandiera del paese, prima di cominciare una suggestiva danse macabre con la morte. Perché il Libano e la morte danzano continuamente, a guerra civile in corso, in un paese devastato dai conflitti interni, dalle esplosioni, dalle forze di pace che in realtà approfittano della popolazione, con la violenza che rimane quasi sempre fuori campo, per invadere il profilmico solo nei momenti più tenui e – se vogliamo – ingenui (gli scontri sulle strade che vengono rappresentati alla stregua di banali risse carnevalesche).

Le tensioni non possono che esplodere anche nell’idillio familiare - fino a quel momento apparentemente inattaccabile - e così il microcosmo di una coppia in crisi (una crisi all’acqua di rose, va detto) diventa l’espressione in scala di quanto sta accadendo nel paese, con Alice che divide in due il suo appartamento, per mostrare il risentimento nei confronti del marito, con un muro di piante che richiama la Green Line di Beirut che separava la parte cristiana da quella musulmana.

Si potrebbe andare avanti ancora, tra cieli stellati fatti di lampadine, split screen in cui si fondono live action e stop motion (o quelli più tradizionali in cui lo schermo diviso è in realtà mera finzione scenografica) e metafore che si concretizzano matericamente (le radici sotto le scarpe, simbolo dei legami familiari, che Alice recide con le forbici, mostrandosi ormai perfettamente ambientata nella nuova realtà, che non vorrà lasciare nemmeno nei momenti più drammatici della guerra civile).

L’impressione è tuttavia che questo profluvio di creatività, vagamente wesandersoniano, non sia sorretto da una narrazione di livello adeguato, almeno fino a quando ad aiutarla non sopraggiunge la drammaticità del contesto storico. Una narrazione convenzionale, per una storia dolceamara i cui spunti folkloristici (soprattutto quelli legati al programma spaziale) restano mero contorno faceto. Una scrittura debole, forse volutamente debole, fagocitata dalle trovate stilistiche, per quello che comunque resta un esordio di interesse, selezionato dall’edizione 2020 – mai realizzatasi – della Semaine de la Critique di Cannes.


19/02/2022

Cast e credits

cast:
Alba Rohrwacher, Wajdi Mouawad


regia:
Chloè Mazlo


titolo originale:
Sous le ciél d’Alice


distribuzione:
I Wonder Pictures


durata:
92'


produzione:
Frédéric Niedermayer


sceneggiatura:
Chloé Mazlo, Yacine Badday


fotografia:
Hélène Louvart


scenografie:
Aurélien Maillé


montaggio:
Clémence Carré


costumi:
Alexia Crisp-Jones


musiche:
Bachar Mar-Khalifé


Trama
Negli anni Cinquanta la giovane Alice lascia il suo paese natale, la Svizzera, per l’esotica Beirut, dove ha trovato un impiego da ragazza alla pari. Qui conosce Joseph, uno scienziato impegnato a sviluppare un improbabile programma spaziale libanese. Tra i due è amore a prima vista.
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