Ondacinema

recensione di Matteo Pernini
8.0/10

 

La relazione tra la nostra vita e quanto filmiamo ci appare; un film ci cade sempre nel giardino.


Abbandonata in una manciata di sale da una timida distribuzione, esce, con colpevole ritardo e tra i miasmi delle creme abbronzanti, "La gelosia" di Philippe Garrel. Un piccolo gioiello, che ha il merito di scrollarsi di dosso le asprezze e i contrasti formali dell'irrisolto "Un Été Brulant" (2011), ancorato al rigore di una Nouvelle Vague fuori tempo massimo, e che rinnova la scommessa di un cinema parentale come scandaglio della propria interiorità. Ancora una volta, per Garrel, il rito della messa in scena si svolge in famiglia: ecco, allora, figurare l'attuale compagna Caroline Deruas alla sceneggiatura - scritta col regista, Arlette Langmann e il consueto Mark Cholodenko in un concertante contributo a quattro mani, che fa brillare la libera suite di scene con continui slittamenti di tono - e i figli, Esther Garrel e l'ormai iconico Louis, tra gli interpreti di un racconto, che si inabissa nelle stanze della memoria per frugare tra i brandelli di tessuto biografico. La biografia è quella di Garrel, che scrive nelle note di regia: "È la storia d'amore che mio padre ha vissuto con un'altra donna e io, che l'ammiravo, ho reso mia madre gelosa senza volerlo."

C'è un che di freudiano in questa inversione delle identità: l'autore dirige il figlio mentre interpreta suo padre all'età di trent'anni e si riconosce nello sguardo fresco e un po' impertinente di una bambina, incuriosita più che turbata dalla separazione dei genitori. È, in fondo, dai tempi de "L'Enfant Secret" (1982) il suo cinema procede per (auto)analisi, rievocando momenti del (proprio) passato, su cui appuntare lo sguardo di un'intelligenza critica, capace di smontare il ricordo sino a sviscerarne il sotteso. Per dirla con una battuta dello stesso Garrel, egli, come l'amato Jean-Luc Godard, "manca di immaginazione" e alle inconsistenti fantasie del cinema narrativo preferisce l'analisi di un gesto, la comprensione di un moto dell'animo.
Sarà, forse, per questo che anche ne "La gelosia", come in tutto il miglior Garrel, a visione ultimata ci si scopre a rievocarne i frammenti, come fossero residui di un'esperienza onirica. In questa summa di dettagli, alcuni appaiono particolarmente significativi per come illuminano la coscienza critica sull'opera del maestro francese e non esitiamo, perciò, a ribadirli in forma di parole-chiave.

È solo quando tutti hanno trovato la posizione giusta che io dico "motore". E in principio non facciamo che una sola ripresa. Dev'esserci un incidente importante perché facciamo una seconda ripresa.

Vita
. L'intreccio de "La gelosia" è, come si è visto, ridotto ai minimi termini e la regia di Garrel, dal canto suo, annulla la storia in un affacciarsi sconnesso di scenette, che danno il resoconto sentimentale di uno squarcio di vite, col fascino stilizzato di una narrazione per ellissi. La sua tecnica è una sorta di pointillisme cinematografico, ma lavora per sottrazione anziché per aggiunte e l'esito è un quadro che sembra comporsi sotto gli occhi attoniti dello spettatore, incerto, ormai, se considerare quegli istanti di cinema - non catturati su pellicola, ma vissuti - come momenti di una studiata drammatizzazione o libere finestre aperte sul mondo. L'obiettivo non è, qui, il grande affresco sentimentale, ma l'acquerello, che sostituisce a una realtà sottomessa al regime dell'effetto drammatico il contesto di una spontaneità intima e sacrale, estranea a qualunque pleonasmo. In questo senso il principio garreliano del "buona la prima" sancisce l'urgenza di una rappresentazione che è sempre scandita al presente e con questa lucida naturalezza si offre ai nostri occhi con gli slittamenti emotivi e gli imprevisti della Vita.

Questa forma aperta permette che ciò che è scritto e ciò che è improvvisato raggiungano una forma di unità, e di verità. Fare il film, per me, significa in gran parte fare in modo che ciò avvenga. Come se lo facessi sedimentare.

Letti
. Il movimento de "La gelosia" è circolare, si apre e chiude su un letto, quello della piccola Charlotte che in incipit si sveglia e ascolta la madre supplicare il consorte di non abbandonarla e quello di Louis, che conclude letteralmente il film nel gesto di spegnere la luce per mettersi a dormire. Nel mezzo una vicenda che sembra guardare ai temi de "La Naissance De l'Amour", in cui Garrel indaga la fragilità dei sentimenti e il contrasto tra l'amour fou vagheggiato dai personaggi e l'irrimediabile esaurirsi della passione nella quotidianità dei gesti. L'esito del conflitto interiore ed esteriore di questi "amanti (ir)regolari", che cercano invano di trattenersi per non soffrire l'assenza, sarà, per Luis, un altro letto, quello dell'ospedale dove sarà portato dopo il tentato suicidio. Stavolta, però, non sarà un'immagine dall'aldilà con i suoi vaticini mortuari ad accoglierlo, come avveniva in "Un Été Brulant", ma il volto vivo della sorella minore, pronta ad aprirgli un varco di speranza per la vita futura.

Avevo voglia di filmare degli attori anziani, delle persone che avessero recitato molto, ma delle quali non si conoscesse il volto.

Piedi
. Dichiaratamente lontano dai modelli contemporanei, il cinema nostalgico di Garrel continua a nutrirsi di citazioni, di inserti visivi riconoscibili, che hanno il sapore della scoperta inattesa e sono capaci di illuminare all'istante la coscienza critica dello spettatore. E se la struttura drammatica de "La gelosia" è, ancora una volta, debitrice delle intuizioni della Nouvelle Vague sul valore del montaggio discontinuo, è alla tradizione del muto che risalgono le invenzioni più incisive, quelle destinate a scavarsi una nicchia nella nostra memoria. In visita presso un anziano scrittore, suo involontario mentore grazie a una splendida monografia pubblicata anni prima sul poeta russo Vladimir Majakovskij, Claudia (nuova compagna del protagonista Louis), rievocando la sacralità di un atto evangelico, lava i piedi al letterato. Confessa Garrel che nella stesura originale era previsto gli praticasse un semplice massaggio, ma sul set ha preso il sopravvento il "desiderio di un'immagine" capace di coinvolgere il pubblico con l'immediatezza di un valore iconografico. Nell'evocazione di un momento figurativo classico, su cui la tradizione ha sedimentato strati di significato, Garrel approfondisce e sintetizza il valore di un rapporto (quello tra Claudia e lo scrittore), sollevando l'esile narrazione dalla trappola di un'inutile deriva dialogica. L'esempio perfetto di un cinema sempre volto alla conquista dell'essenziale.

Utilizzo il vero cinemascope anamorfico, ovviamente in 35mm. Il risultato è molto bello, in particolare paradossalmente in spazi molto piccoli. Il sistema di ripresa fa sì che la cinepresa colga le cose che sono ai due lati estremi dell'immagine, donando un'ampiezza che altri metodi non consentono.

Margini
. Sbaglia chi crede che il rifugio negli anacronismi di un cinema trascorso celi, in Garrel, il rifiuto della modernità per partito preso. Non sono, i suoi, film che temano la competizione del nuovo e, del resto, persino le scelte più apparentemente nostalgiche rivelano, a chi sappia vedere oltre le convenzioni, la convergenza tra approccio formale e movente ideologico. In questo senso il recupero del Cinemascope (formato che consentiva di allargare il campo visivo in orizzontale per avvicinare la visione in sala a quella dell'occhio umano) non è l'ennesima citazione fuori tempo di un mondo perduto, ma il necessario contraltare stilistico della poetica di Garrel. "La gelosia" è, in effetti, un cinema dei margini, che scansa il nocciolo degli eventi per concentrarsi sulle conseguenze. Indifferente alle cause, la macchina da presa arriva sul fatto quando tutto è già avvenuto, indugia a lungo su un primo piano dopo che la conversazione è terminata, lasciando da parte le passioni violente, le scene madri, la suspense (segni della contraffazione di un'arte arresa all'intrattenimento) per indagare il grumo di incertezze e i moti contrastanti che agitano i protagonisti. Non è all'effetto che punta il cinema di Garrel, ma, come si diceva, all'analisi, alla comprensione del dato umano. E la sua forza è ancor oggi intatta, alberga nell'umanità dolente dei suoi personaggi, nella spontaneità disarmante di una messa in scena che è sempre hic et nunc, nei gesti che annullano all'istante qualunque distanza e ci restituiscono all'immediatezza del vivere.
28/06/2014

Cast e credits

cast:
Luis Garrel, Anna Mouglalis, Rebecca Convenant, Olga Milshtein, Esther Garrel


regia:
Philippe Garrel


titolo originale:
La Jalousie


distribuzione:
Movies Inspired


durata:
77'


produzione:
CNC, Indéfilms, Wild Bunch


sceneggiatura:
Philippe Garrel, Mark Cholodenko, Caroline Deruas, Arlette Langmann


fotografia:
Willy Kurant


montaggio:
Yann Dedet


musiche:
Jean-Louis Aubert


Trama
Dalle note di regia: "E' la storia d'amore che mio padre ha vissuto con un'altra donna eio, che l'ammiravo, ho reso mia madre gelosa senza volerlo".