Ondacinema

recensione di Claudio Zito
9.0/10
Nel pieno della polemica sulla nocività o meno degli occhiali multiuso, esce zitto zitto, per Pasqua, il nuovo film 3D della Dreamworks. Dal punto di vista medico non ci pronunciamo, ma da quello psicologico sposiamo, in questo caso, la posizione generale di Anec, Anem e Anica. Anzi rilanciamo: la visione non può che fare un gran bene, sia agli adulti, sia ai piccini. "Dragon Trainer" è infatti il capolavoro che colloca, forse per la prima volta, lo studio californiano al livello dei rivali storici della Pixar al loro meglio. Se proprio non si vuole correre rischi, optando per la tutela preventiva assoluta dei bambini sotto i sei anni, si può comunque scegliere la vecchia sala tradizionale senza il timore di perdere qualcosa: per quanto il film sia visivamente poderoso, la terza dimensione è infatti tutto sommato superflua.

Dal romanzo di Cressida Cowell "Come addestrare un drago". Il protagonista (il cui doppiaggio, altrove impeccabile, presenta inflessioni dialettali) è l'undicenne vichingo Hiccup Horrendous Haddock III, detto Hic, figlio del capo tribù dal fisico gracile e dal poco coraggio. Non a caso il suo primo nome significa "singhiozzo" e non serve essere anglofoni per capire il secondo. Il nostro eroe vive una realtà in cui i gli adulti, regolarmente sovrappeso, sembrano ragionevoli, ma si rivelano assetati di sangue non appena si tratta di affrontare il nemico. I suoi coetanei li contrappuntano: appaiono come dei piccoli invasati, molto peggio dei genitori, ma la riscossa, non tanto sul piano bellico quanto piuttosto su quello umano, arriverà da loro. L'unica speranza per un avvenire più civile è inevitabilmente riposta, in ultima istanza, nelle nuove generazioni.

Il nemico, dicevamo. Non si tratta di uomini bensì di minacciosi draghi - davvero inquietanti e disegnati con straordinaria dovizia di particolari - che infestano il villaggio. Non sembrano addomesticabili, vanno soltanto combattuti e sconfitti. "Uccidere a vista", insegna il manuale del perfetto vichingo, invero poco letto dai giovani aspiranti tali. Possibilmente, bisogna trovare e distruggere il loro nido, che ancora nessuno sa dov'è. Hic però non ci sta: non appare caratterialmente in grado di ammazzare nessuno, uomo o animale che sia. E la conferma arriva quando incontra un drago della specie più feroce. E' ferito, senza mezza coda, incastrato nella vegetazione, impossibilitato a muoversi. Finirlo sarebbe uno scherzo. Ma ecco quella che è forse la prima delle tante immagini da stampare nella memoria: il dettaglio dell'occhio dell'animale/mostro, al contempo terrorizzante e terrorizzato, che segna anche la svolta nella vicenda.

Comincia così la storia dell'amicizia tra il ragazzo e il drago, ribattezzato "Sdentato". Un percorso estremamente difficile, reso ancor più narrativamente impervio dalla scelta di ridurre ai minimi storici l'antropomorfismo dell'animale mitologico, traducendo così visivamente l'incomunicabilità reciproca. Un percorso che parte dall'inevitabile paura dell'altro: Hic ne prova tanta, e tanta ne proveranno gli spettatori più giovani. Che passa attraverso lo studio, sui libri e sul campo (diremmo la "ricerca scientifica", se il target fosse lo studente universitario. "Dragon Trainer" è invece adatto ad ogni età), finalizzato alla conoscenza del diverso. Oltre l'ignoranza, al di là di ogni pregiudizio. E attraverso l'assistenza a chi è in difficoltà e la condivisione delle esperienze. Hic che danza intorno ai confini territoriali tracciati da Sdentato, capendo che calpestarli significa indispettirlo, è il segno che i due cominciano a comunicare, ed è anche la seconda delle sequenze indimenticabili.

La parabola disegnata dal film può apparire idealista, facile e consolatoria, ma una visione più attenta confuta queste impressioni. Le tradizioni sono lette in maniera fortemente critica, ma il protagonista si sforza di non rompere con le medesime, né coi legami familiari. La composizione dello scontro è preferita allo scontro stesso ma, più che di moderazione ed edulcorazione, si tratta di presa di posizione a favore della ragionevolezza contro la cecità integralista. L'evidente pacifismo implica la messa al bando della violenza, ma non in casi estremi (in conclusione un nemico è rimasto, e viene sconfitto con la forza). E il successo comporta enormi sacrifici, come rivela un finale davvero coraggioso, che riscatta con gli interessi tutti i sacri crismi del genere cui la produzione, ahinoi, si è dovuta piegare.

I ben sei anni trascorsi dalla ideazione sono valsi un'ambientazione accuratissima, impreziosita dalle musiche di John Powell (perfette nel coniugare mitologia e modernità) e messa in ordine da una regia non velleitaria ma di statura autoriale (meravigliose le immagini dall'altro). Più una serie interminabile di avventure mozzafiato senza cedimenti di ritmo. Un'ora e mezza di puro spettacolo, che sa al contempo veicolare valori universali ed eterni che ormai, sul grande schermo, solo l'animazione sembra avere l'ambizione di affrontare. Fino al già citato finale, che recupera l'epica del contesto, ormai arricchita da un'umanità nuova e proiettata verso il futuro.
28/03/2010

Cast e credits

regia:
Chris Sanders, Dean DeBlois


titolo originale:
How to Train Your Dragon


durata:
98'


produzione:
DreamWorks Animation, Mad Hatter Entertainment, Mad Hatter Films, Vertigo Entertainment


sceneggiatura:
Dean DeBlois, Adam F. Goldberg, Chris Sanders, Peter Tolan


scenografie:
Kathy Altieri


montaggio:
Maryann Brandon


musiche:
John Powell


Trama
Hiccup è il figlio undicenne di un capo vichingo.  Per superare il rito di passaggio che lo porterà ad essere accettato nel mondo degli adulti, deve riuscire a sconfiggere uno dei draghi che infestano il villaggio. Quando ne trova uno ferito, però, preferisce provare a diventare suo amico
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