Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
5.5/10

Bart Freundlich si cimenta nel remake dell’omonima opera di Susan Bier uscita nel 2006 con cast e produzione danesi. Alla coppia di protagonisti maschili, Jacob e Jørgen, interpretati rispettivamente da Mads Mikkelsen e Rolf Lassgård, sono state sostituite Isabel e Theresa, interpretate da Michelle Williams e Julianne Moore.
Siamo a Calcutta, mentre la Bier aveva scelto come location Bombay. Il film è inizialmente incentrato sulla figura di Isabel, una stoica attivista americana dei diritti umani, tutta dedita all’orfanotrofio in cui, insieme ad altre centinaia di bambini, cresce anche il piccolo Jai, di otto anni. É proprio in compagnia di costoro che viene inizialmente ripresa, abbigliata secondo la moda indigena e intenta a pregare seduta sui ghati, i gradini di un’area sacra. L’approccio all’universo del subcontinente indiano avviene dall’alto, con un progressivo restringimento della messa in quadro, dal campo lunghissimo al primo piano, e una pregevole fotografia che esalta i contrasti cromatici tra il verde della vegetazione e l’ocra delle strade prive di asfalto.
Successivamente, Isabel viene contattata dalla facoltosa e a lei sconosciuta direttrice di una importantissima agenzia pubblicitaria intenzionata a finanziare a scopo benefico progetti di tutela dell’infanzia. L’attivista, giunta così a New York fiduciosa di poter entrare in possesso di una somma di danaro così ingente da sostenere progetti che vanno ben al di là del singolo orfanotrofio, viene invitata a partecipare al matrimonio della figlia di Isabel, Anna. La donna, seppure poco convintamente, accetta.

É a questo punto che la trama del film prende tutt’altra piega: nel corso del matrimonio riconosce, nel marito di Theresa, Oscar, il proprio amore di gioventù, con il quale aveva concepito una bambina poi abbandonata dopo il parto. A scompaginare ulteriormente il quadro, emerge che quella figlia è Anna, che Oscar, senza nulla dire all’allora diciottenne Isabel, aveva comunque deciso di riconoscere e portar via con sé. Solo dopo una serie di schermaglie verbali tra Theresa e Isabel quest’ultima verrà a sapere della reale motivazione del suo invito a New York: Theresa, alla quale resta poco da vivere, vuole dare una nuova sicurezza affettiva alla famiglia che è costituita, oltre che da Anna, anche da due gemelli ancora bambini. Il sostanzioso legato in favore degli sfortunati orfani del terzo mondo era dunque solo un pretesto. Isabel dovrebbe tuttavia sottostare a una clausola del lascito: trasferirsi stabilmente a New York. Quando però ritorna a Calcutta per informare Jai e proporgli di essere lui a seguirla in America, il bambino rifiuta, lasciando di fatto le porte aperte a diverse conclusioni del film.

La pellicola di Freundlich è un remake piuttosto scontato, una copia sbiadita di quella danese. Per quanto lodevole sotto alcuni aspetti, come la fotografia nella prima parte e gli interrogativi su temi di fondo che solleva nel pubblico (rapporto tra apparenza e realtà, scelta tra il danaro e gli affetti, ineluttabilità della morte), aggiunge ben poco di nuovo al film del 2006. A risultare carente è soprattutto la messa in scena piuttosto scialba e incapace di coinvolgere davvero lo spettatore. I luoghi prescelti per le riprese negli Stati Uniti esprimono sì un contrasto rispetto alle location indiane: il lussuoso appartamento dove Isabel viene ospitata stride, grazie anche a qualche flashback su Jai, con ciò che la donna si è, almeno momentaneamente, lasciata alle spalle. Manca tuttavia una più precisa caratterizzazione di New York, che appare come rarefatta, visivamente lontanissima, non vissuta. I luoghi prescelti per l’azione appaiono insomma anonimi; anche quando Isabel scende in strada e si inoltra in un mercato per degli acquisti, non sentiamo affatto il pulsare della grande mela. Alcuni aspetti del film sono poi sciatti perché poco chiaramente definiti: Oscar è un artista, uno scultore, ma mai che abbia le mani sporche; egli sembra ruotare intorno alle proprie opere, le quali sembrano essersi fatte da sè. Il genero, Johnathan, è ancora più superficialmente abbozzato. Più riuscita invece la contrapposizione tra le due protagoniste, anche nel modo in cui ci vengono presentate. Di Isabel si è già detto. Theresa compare per la prima volta all’interno del lussuoso SUV mentre procede verso destra cantando a squarciagola e all’unisono con la radio “Edge of glory” di Lady Gaga; l’inquadratura precedente si era chiusa con Isabel che in meditabondo silenzio viaggiava su un autobus verso sinistra: è la rappresentazione anche fisica, cinetica della sua alterità. Theresa è un’affermata ed esigente direttrice d’azienda che si impone con la parola; Isabel, viceversa, è taciturna, ma acuta osservatrice, e la sua mimica facciale e gestuale ben supplisce alla verbalizzazione degli stati d’animo.


13/06/2020

Cast e credits

cast:
Alex Esola, Abby Quinn, Billy Crudup, Michelle Williams, Julianne Moore


regia:
Bart Freundlich


titolo originale:
After the Wedding


distribuzione:
Lucky Red, MioCinema


durata:
110'


produzione:
Joel B. Michaels Productions


sceneggiatura:
Bart Freundlich


fotografia:
Julio Macat


scenografie:
Grace Yun


montaggio:
Joseph Krings


costumi:
Arjun Bhasin


musiche:
Mychael Danna


Trama
Isabel, una fervente attivista dei diritti dell'infanzia, lascia l'India per recarsi a New York dove è stata convocata da Theresa, la direttrice di un'importante agenzia pubblicitaria, per ottenere un sostanzioso finanziamento per i propri progetti umanitari. Una volta giuntavi conosce la famiglia della munifica direttrice e scopre che la figlia di quest'ultima, Grace, è in realtà la propria figlia naturale. Il padre di Grace, ora marito di Theresa, era stata infatti una vecchia fiamma di gioventù. Dietro la generosità di Theresa si nasconde in realtà un intento più immediato: assicurare ai figli una stabilità affettiva nel momento in cui lei verrà meno a causa di un male incurabile di cui tutti, perfino il marito, sono all'oscuro.   
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