Può ancora dirsi indipendente un film che ha nel cast John C. Reilly, Marisa Tomei e Catherine Keener? Al di là delle definizioni e della distribuzione castrante. Certamente "Cyrus" rispetta sempre quei canoni impalpabili del mumblecore con cui i fratelli Duplass sono stati tra i primi a essere etichettati (perché sempre di etichette si tratta) a partire da "The Puffy Chair": tanti dialoghi, intreccio inconsistente, analisi di relazioni, personaggi leggermene sopra le righe (ma non troppo), elementi di improvvisazione, produzione low budget. Sempre nel sottile solco che separa la commedia dal dramma: situazioni spesso in bilico, se spinte leggermente da una parte si entra nella farsa, se dall'altra nel patetico.
John ha più di trent'anni e la sua ex sta per risposarsi anche se lui non l'accetta. Viene trascinato a una festa dove non si risparmia qualche figuraccia, lui che è leggermente socio patico, e conosce Molly. Sembra tutto perfetto: i Duplass ci mostrano le piccole fragili illusioni di cui ci si fa carico (con un peso sempre più crescente in proporzione al passare degli anni) quando comincia una relazione. Poi John conosce Cyrus, il figlio ventunenne, lui veramente socio patico e rompipalle, di Molly. Musicista obeso, che ha con la madre un rapporto di attaccamento quasi insano (il confine è anche qui labile), leggermente creepy. John e Cyrus si contendono Molly.
La regia dei Duplass è una costante camera a mano con campi e controcampi, uso di zoom televisivo, e di un montaggio molto riuscito in alcune parti. Il film tra parentesi è prodotto da altri due fratelli: Ridley e Tony Scott. La sceneggiatura poggia sui dialoghi, restituiti nella maniera più naturale possibile, nonostante alcuni progressi della storia siano leggermene inverosimili - soprattutto la velocità con cui si sviluppa. Ma forse questo importa meno: è un plot di personaggi, e a volte però si ha l'impressione che manchino di consistenza. Molly che non apre gli occhi, Cyrus che fa il doppio gioco, John che passa da momenti di tenerezza a cinismo.
"Cyrus" non gioca a disattendere le aspettative: le conferma con rassicurante insistenza, a costo di risultare scontato, di copiare la quotidianità. Trova la sua forza nella pochezza con cui è costruito, che allo stesso tempo rischia di diventarne il limite. Oltre a Lynn Shelton (altra esponente mumblecore) ricorda a tratti Solondz e Baumbach. I Duplass utilizzano abbondantemente le musiche, conferiscono ai personaggi lavori e ambienti che conoscono, attribuiscono loro nevrosi e fissazioni che abbiamo imparato a riconoscere come proprie all'americano contemporaneo - relazioni difficili, aggressività, imbarazzi e nuovi equilibri familiari. La coppia e la famiglia, per quanto disastrate, non sono migliori o peggiori di quelle "tradizionali", semplicemente vivono di diverse problematiche relazionali. I Duplass non stupiscono, né strappano risate facili: tutto rimane su un terreno riconoscibile, non troppo assurdo e nemmeno troppo banale. Forse non aggiungerà nulla di viscerale, ma "Cyrus" è un film che mette al centro i personaggi, i sentimenti, i conflitti irrisolti e le relazionali sociali, senza giudicare. Risultato di un cinema che - abbandonate le etichette - si poggia su mezzi specifici, persone e personaggi.
01/05/2011