Titta Di Girolamo è un uomo che aspetta. La sua vita precedente l'ha condotto a questo: commercialista della mafia, ha giocato (male) in borsa per conto dei siciliani e loro, invece che giustiziarlo, l'hanno mandato a finire i suoi giorni in un albergo della Svizzera italiana. Una valigia, da portare in banca due volte al mese, è l'unico compito assegnatogli.
Titta è bloccato dentro un horror dell'anima: le sue funzioni vitali di personaggio si sono ridotte a fumare e osservare. Le pulsioni iperrealistiche di quello che è rimasto della sua vita, dentro e fuori di sé, somigliano a un teatro dell'assurdo, insano e crudele: l'eroina consumata ogni mercoledì, l'insonnia che lo divora di notte, la costosa pulizia del sangue a cui si costringe, l'infinita partita a carte (truccate) con gli altri ospiti fissi dell'albergo. Le emozioni gli sono negate: non può provare più niente, perché i suoi figli si rifiutano a telefono e il ricordo di un amico lontano è solo l'ennesimo palloncino sgonfio dentro il suo cuore. Il resto delle sue giornate si nutrono di avanzi, che lui condisce con osservazioni fuoricampo acute e paradossali, mesti epitaffi della rinuncia a vivere. La maschera grottesca di Titta, cioè quella di Toni Servillo, attore feticcio di Sorrentino, fanno il resto, così come la rappresentazione da farsa del crimine, dell'innamoramento, persino della tragedia che verrà.
"Le conseguenze dell'amore" è una post Marienbad che segnerà un passo ulteriore verso la definizione dello stile del regista napoletano: da un lato, l'accelerazione di un virtuosismo che lancia la sua macchina da presa dentro la stratosfera dei nuovi autori del cinema italiano; dall'altro, una scrittura asciugata rispetto alle pulsioni melodrammatiche dell'esordio, "L'uomo in più", risucchiata dentro il buco nero dell'incomunicabilità, della sospensione, dell'assenza.
Eppure, nella storia di Titta, suonano delle spie, salvagenti che affiorano da un mare pesante come liquido amniotico: il fratellastro scavezzacollo (Adriano Giannini) in visita; Sofia, la barista dell‘hotel dallo sguardo languido (Olivia Magnani, nipote della celebre Anna); e un‘idea, morire in modo rocambolesco. Per uno zombie narrativo come lui è aria fresca, un ritorno a respirare, la molla che finge di vanificare l'antistruttura del film. Perché, quella che sembra una classica discesa agli inferi, è in realtà solo il preludio della prossima caduta.
Così, in mezzo agli immancabili dolly e la strabiliante costruzione delle inquadrature, l'uso del glitch e le sfuriate elettroniche di Lali Puna, Mogwai e Boards of Canada nella colonna sonora, Sorrentino mette a segno il film con il quale otterrà il plauso generalizzato di critica e pubblico. Capriole registiche e azzardi di sceneggiatura, due movimenti uguali e contrari che diventeranno marchio di fabbrica e saranno affinati nelle pellicole successive, tra grossi colpi come "Il Divo" e il rovinoso flop di "Youth".
Però "Le conseguenze dell'amore" è un film che costruisce l'abisso per affidargli una risalita impossibile, dal doppiofondo inevitabile. Più che estremo, è un film estremizzato, non perfettibile, come una centrifuga tirata a mille: i colori diventano la forma, lo stile si fa messaggio; persino le velleità di un finale troppo stridente, dentro il quale vedremo soffocare questa e altre pellicole dell‘autore (emblematico in questo "L'amico di famiglia"), diventeranno i segni riconoscibili del suo cinema.
cast:
Adriano Giannini, Toni Servillo, Olivia Magnani, Angela Goodwin, Raffaele Pisu
regia:
Paolo Sorrentino
titolo originale:
Le conseguenze dell'amore
distribuzione:
Fandango
durata:
100'
produzione:
Medusa Film, Fandango, Indigo Film
sceneggiatura:
Paolo Sorrentino
fotografia:
Luca Bigazzi
scenografie:
Lino Fiorito
montaggio:
Giogiò Franchini
costumi:
Ortensia De Francesco
musiche:
Pasquale Catalano