Ventiquattro anni dopo avere conquistato la mostra del cinema di Venezia con "Desordre", la sua opera prima dedicata alle romantiche disavventure di una rock band francese, Olivier Assayas, figura di spicco del cinema d'oltralpe, nonché ex-firma dei "Cahier du Cinema" (è stato fra l'altro uno degli autori del numero speciale "Made in Hong Kong", vero e proprio spartiacque della critica occidentale nei confronti dei film prodotti nella ex-colonia britannica), realizza quello che finora è stato il suo progetto più impegnativo e (giustamente) acclamato: raccontare la vita e le imprese di uno dei terroristi più famigerati degli anni Settanta.
In realtà c'è da scommettere che molti (specie i più giovani) non sappiano molto su Ilich Ramirez Sanchez, nome di battaglia Carlos, un venezuelano arruolato nelle file del Fronte di Liberazione della Palestina che per molti anni è stato fra gli uomini più ricercati del mondo, soprannominato "lo sciacallo" perché fra i suoi effetti personali fu trovata una copia del famoso libro di Frederick Forsyth "Il giorno dello sciacallo" (ispirato all'attentato a De Gaulle). Conoscere la sua vicenda è anche un modo per ripassare una delle pagine più controverse della storia internazionale.
Chi ha visto i film di questo regista sa che né il gigantismo (vedasi "Les Destinès Sentimentales") né i soggetti scomodi (vedasi il caso "Demonlover") lo spaventano. Quindi una volta ottenuti i finanziamenti da Canal Plus, si è lanciato con fervore in questa avventura che alla fine, per sua stessa ammissione, si è rivelata stremante. Concepito come una miniserie in tre parti (confronti con le produzioni televisive nostrane sono vivamente sconsigliati, onde evitare l'amarezza), "Carlos", con le sue ambientazioni in 20 paesi e le circa 8 lingue che vengono parlate dai vari personaggi, tocca i vertici di quel cinema cosmopolita e poliglotta che l'autore di "Irma Vep" da sempre carezza.
Presentato fuori concorso al festival di Cannes e accolto subito molto favorevolmente (in molti hanno polemizzato sul fatto che gli fosse stata preclusa la competizione, anche perché la presenza di un simile calibro l'avrebbe sicuramente resa meno spenta, con rispetto parlando per i premiati) e col grande Todd McCarthy a farsi portavoce ufficioso dell'entusiasmo generale, "Carlos" è stato eletto film dell'anno da "Film Comment" e ha ottenuto persino un golden globe come miglior film tv, sconfiggendo la produzione spielberghiana "The Pacific".
Assayas e il suo co-sceneggiatore Dan Franck, servendosi della consulenza dello storico Stephen Smith, hanno compiuto un lavoro di ricerca scrupoloso, senza poter evitare in certi casi di lavorare di fantasia (cosa di cui correttamente una didascalia ci informa a inizio film), anche perché alcuni fatti che hanno visto coinvolto Ilich Ramirez Sanchez sono tuttora sotto inchiesta. Storia e geografia del mondo, dunque, si intrecciano nelle vicende del protagonista che conosciamo a inizio film nel 1973 quando, fresco di campi di addestramento, si unisce alla lotta armata e che lasciamo nel 1994 quando viene estradato in Francia, dove adesso sta scontando una condanna all'ergastolo per l'omicidio di tre agenti da lui freddati in un appartamento parigino (uno dei momenti più tesi del film), l'unico capo di accusa per cui sia stato riconosciuto colpevole.
In mezzo ci stanno 330 minuti di grande cinema (in vari paesi è stata distribuita una versione per le sale di circa due ore e mezza ma, come spesso succede, la versione integrale dà maggiori soddisfazioni), durante i quali Carlos accetta una missione dopo l'altra, cambia compagni, prepara meticolosamente le sue azioni, seduce moltissime ragazze e progressivamente si aliena le simpatie delle alte sfere che cominciano a vedere in lui non più un esecutore fidato, ma un impulsivo e accentratore egomaniaco che alla fine è costretto a spostarsi da un paese all'altro, cittadino sempre meno gradito. Le sue vicende si accompagnano a quelle dei protagonisti di altri tragici fatti come il sequestro della sede Opec di Vienna o il raid aereo di Entebbe; a volte raccontati con attenzione, a volte semplicemente accennati.
Uno dei grandi meriti di Assayas e collaboratori è di avere restituito il terrorismo armato in una giusta prospettiva, ricordandoci quanto queste organizzazioni abbiano potuto contare spesso sull'appoggio di governi e finanziamenti internazionali (in una sequenza viene ricostruito un meeting cui partecipa il futuro leader sovietico Andropov, che senza troppe remore commissiona al protagonista l'omicidio del presidente egiziano Sadat). Anche Carlos nelle sue azioni è sempre ben spalleggiato, nonostante i suoi modi da anarchico e le sue sparate da liberatore; quando invece uno dei suoi ostaggi cerca di corromperlo con dei soldi, il protagonista lo interrompe subito ricordandogli di essere ben pagato, tradendo in questo anche un po' l'atteggiamento del mercenario. Se a questo aggiungiamo imprevisti ai check-in, pistole che al momento cruciale tradiscono, lanciarazzi che mancano i bersagli e piani che non si rivelano così efficaci, il quadro del terrorismo internazionale che emerge è quanto di più lontano da celebrazioni nostalgiche e/o ideologiche (grosso limite che in passato è stato imputato ad operazioni di questo tipo).
Narcisista, irruente, freddo, micidiale, il Carlos ritratto è sicuramente una figura complessa e sebbene il diretto interessato abbia fatto sapere dal carcere di non essere soddisfatto del ritratto che gli è stato fatto, ad Assayas va riconosciuto di non avere disegnato un protagonista banale. Ovviamente, trattandosi di una biopic, la riuscita è dipesa molto anche dalla scelta del protagonista. Finora conosciuto solo per parti secondarie, Edgar Ramirez (venezuelano come il personaggio) si lancia nell'impresa con l'impegno tipico di chi sa che si sta giocando la grande occasione. Dotato di carisma (indispensabile per un ruolo simile) e fortunatamente scevro da tentazioni gigionistiche, Ramirez cambia col personaggio: ingrassa, dimagrisce, invecchia. La sua prova mimetica rispecchia bene la psicologia di un uomo sempre in bilico tra l'essere un idolo delle folle (in una scena saluta la gente dalla macchina come se fosse un divo) e un sicario.
Immerso nelle luci smaglianti di Yorick Le Saux e Denis Lenoir, montato alla grande da Marion Monnier e Luc Barnier, commentato da una compilation musicale che è stata colonna sonora di quei vent'anni raccontati nel film (dai Feelies ai New Order, passando per i Wire), "Carlos" è un'opera che ci mostra un cineasta in grandissima forma. Se anche, come ha detto, deciderà di non lanciarsi più in simili imprese, speriamo comunque di non dovere attendere troppo un suo nuovo lavoro.
cast:
Julia Hummer, Alejandro Arroyo, Alexander Scheer, Alexander Beyer, Juana Accosta, Edgar Ramirez
regia:
Olivier Assayas
durata:
330'
produzione:
Canal+; Egoli Tossell Film; Arte France; Films en Stock; Medienboard Berlin-Brandenburg; German Fede
sceneggiatura:
Olivier Assayas, Dan Franck
fotografia:
Denis Lenoir, Yorick Le Saux
scenografie:
François-Renaud Labarthe
montaggio:
Marion Monnier, Luc Barnier
costumi:
Jürgen Doering