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recensione di Antonio Pettierre

Regista di sette film nell'arco di poco più di vent'anni - dal 1974 di "Una calibro 20 per lo specialista" a "Verso il sole" del 1996 -  per poi abbandonare il mondo del cinema, Michael Cimino è un autore che ha provocato amori e odi, discusso e controverso, capace di filmare le emozioni in epopee moderne e per la grandeur maniacale della messa in scena.

Il regista che nel giro di un paio di anni passò a essere consacrato come un giovane genio per  "Il Cacciatore", grande successo di critica e pubblico (vincitore di cinque Oscar, tra cui miglior film e regia) - e successivamente condannato all'esilio dai set come un folle per la debacle economica de "I Cancelli del Cielo" (che contribuì alla bancarotta la United Artists nel 1980 e fu il casus belli che fece finire la completa autonomia del regista nel confronto dei produttori e dello Studio System hollywoodiano).

Negli anni 60 e 70, tra i primi corsi di laurea di cinema (che fiorirono tra le università di New York e la California) e la pratica delle factory di cinema indipendente (come quella benemerita di Roger Corman) e la Tv, s'imposero i Movie Brats di prima e seconda generazione (Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Steven Spielberg, George Lucas, Brian De Palma, John Milius, Hal Ashby, Arthur Penn, Dennis Hopper, Peter Bogdanovich e altri), cioè autori che hanno studiato cinema e hanno avuto un intenso scambio con les auteurs europei (francesi e italiani) di quegli anni, contribuendo a creare un periodo fecondo conosciuto come la Hollywood Renaissance. Si afferma in quel contesto il primato del regista come autore dell'opera cinematografica rispetto ai produttori, dopo che l'intero Studio System delle Major era entrato in crisi.

Michael Cimino, nato nel 1939 a New York, italoamericano di terza generazione, coetaneo di Scorsese e di Coppola (con più affinità elettive con il secondo rispetto al primo), s'inserisce all'interno di questa corrente, ma con un percorso personale rispetto ai suoi coetanei. Studia architettura e pittura e solo in un secondo momento si avvicina al cinema trasferendosi in California. Questo retaggio culturale si nota in tutta la sua opera, dove la rappresentazione del paesaggio è centrale e la cura degli ambienti nella messa in scena è ossessiva. Compie la gavetta prima girando pubblicità (dove impara a utilizzare il mezzo cinematografico) e poi scrivendo sceneggiature. Arriva a dirigere il suo secondo lavoro, "Il cacciatore", a meno di trent'anni, con non poche difficoltà e per l'interessamento della EMI inglese  a produrre un giovane autore americano.

"Il cacciatore" è un film sulla guerra del Vietnam, sull'amicizia, sulla comunità, sulla rielaborazione di un lutto per un'intera nazione. Cimino per raccontare tutto questo sceglie di seguire la vita di un gruppo di giovani operai di un'acciaieria in Pennsylvania, in particolare tre di essi: Mike (Robert De Niro), Nick (Chistopher Walken) e Steven (John Savage).

La narrazione è divisa in tre parti. La prima - lunga più di sessanta  minuti -  introduce il mondo dei personaggi in una comunità di immigrati ucraini, periferica e proletaria, la cui vita si divide tra il lavoro presso l'alto forno, le bevute al pub, la caccia al cervo e la partecipazione al matrimonio di Steven. La seconda parte - la più breve e compatta, di circa quarantacinque minuti - getta lo spettatore all'interno della guerra del Vietnam, dove il tutto, per metonimia, viene riassunto per brevi sequenze: lo scontro a fuoco in un villaggio rurale; la prigionia sul fiume da parte di Mike, Nick e Steven, costretti alla roulette russa; la loro fuga e perdita di vista; il ricovero di Nick in ospedale. La terza e ultima parte racconta le conseguenze postbelliche: il ritorno a casa di Mike; la difficoltà emotiva a reinserirsi nel gruppo; il rapporto problematico di attrazione per Linda (Meryl Streep) fidanzata del suo amico Nick; il recupero di Steven, rimasto mutilato; e il fallito tentativo di riportare a casa Nick impazzito, che si dedica alla roulette russa a Saigon per denaro nelle bische clandestine.
"Il cacciatore" è un film ricco di tematiche espresse su diversi livelli della fabula all'interno di una estetica che trasforma la forma in contenuto.

Accusato all'epoca dell'uscita nelle sale di essere "reazionario" - in particolare da una parte della critica italiana - "Il cacciatore" è nella realtà un romanzo di formazione in cui i protagonisti sono proletari e provinciali, dove la guerra del Vietnam è la prima occasione di uscire dal perimetro della comunità. Del resto, a Cimino interessa far capire il dolore provocato da una guerra insensata e mostrare il trauma che i tre giovani affrontano e il loro ritorno a casa. "Il cacciatore" è il primo film che prende di petto il tema e mostra la tragedia umana della guerra del Vietnam. Sono passati solo tre anni dalla caduta di Saigon e dalla fine della guerra e il cinema statunitense inizia a parlarne in modo critico e coraggioso. Prima di lui c'è stato "Tornando a casa" di Ashby, dove tutto è incentrato sui reduci, e subito dopo abbiamo "Apocalypse, Now" di Coppola manifesto estetico-culturale dell'orrore dell'uomo. Il Vietnam diventa un passaggio traumatico per la storia americana e Cimino rappresenta la fatuità etica della way of life alla base di tutto ciò e la ferita ancora aperta nel tessuto sociale.

Mike, il cacciatore del titolo, basa la sua esistenza sulla filosofia del "colpo solo" durante la caccia al cervo - l'animale non può difendersi e quindi al cacciatore spetta un solo colpo per abbatterlo. Ed è lui il più convinto della partecipazione alla guerra, portando questa filosofia personale nei teatri di combattimento. Ma il colpo solo del cacciatore muta ben presto nel colpo solo della pistola puntata alla tempia della roulette russa. Cimino, in più interviste, ha affermato che la lunga scena della tortura nella capanna-prigione lungo il fiume, compiuta dai vietcong che costringono i prigionieri al gioco mortale, non è altro che la sintesi di quello che fu la guerra.

Non voleva raccontare la guerra del Vietnam in sé, ma trasmettere l'emozione profonda e crudele di quello che doveva essere stato. La roulette russa diviene così una forte metafora del suicidio di un popolo, di una comunità. E la reiterazione del gesto da parte di Nick, che continua a farlo partecipando nelle bische fino a morirne, non è altro che la descrizione dell'impossibilità di lasciarsi alle spalle il trauma: Nick non è mai realmente uscito da quella prigione lungo il fiume. Mike ci riesce, ma tornando a casa non potrà più cacciare il cervo e il suo colpo lo sparerà in aria, mentre in una scena drammatica farà subire il gioco all'amico Stanley (John Cazale) che minaccia con una pistola un altro uomo: un modo di mostrare l'orrore della guerra a chi ne è distante e distaccato. Il terzo amico, Steven, torna anche lui ma su una sedie a rotelle, invalido nel corpo per sempre, icona fisica dei danni della guerra.

Ma prima di arrivare a questo Cimino narra nella lunga introduzione, in una messa in scena emotiva, dove lo spettatore diventa parte attiva - ospite oltre lo schermo - la vita di questa comunità operaia. Cimino è attratto dalle vicissitudini quotidiane di uomini e donne comuni. Per lui gli Stati Uniti (e la loro storia) sono un melting pot di razze, culture e religioni differenti: dai polacchi, gli italiani e i cinesi ne "L'anno del dragone" alla comunità agricola di immigrati est europei ne "I cancelli del cielo"; dai siciliani de "Il siciliano" al meticcio navajo di "Verso il sole", tra cattolici, ortodossi, buddisti, confuciani, cristiani, ebrei, atei, in un difficile rapporto di integrazione in un unico vasto territorio.

E una delle due scene clou della prima parte de "Il cacciatore" è appunto la rappresentazione del matrimonio ortodosso di Steven con la fidanzata. In uno sforzo di messa in scena e messa in quadro, con pochissimi stacchi e l'utilizzo di piani sequenza e del dolly, Cimino rende sontuosa la gioia di vivere di un intero gruppo di persone con la visione di una cerimonia che diventa la summa di una società - così come la roulette russa è la metafora della guerra.

La seconda scena clou è la caccia al cervo. Qui viene raccontata la filosofia di vita dell'americano medio, legato alla sua etica personale, caparbio, coraggioso, leale. E la sequenza sarà esattamente contrapposta a quella speculare della terza parte, dove la caccia sarà triste, ormai rito non più di coraggio e di sfida leale, ma inutile e mortifero, fine a se stesso. In questo film dalla struttura narrativa circolare e bifronte allo stesso tempo, il matrimonio avrà come contraltare la cerimonia del funerale nel finale: il ritorno a casa di Nick in una bara, con l'ultima scena degli amici -  tutti reduci in qualche modo - intorno a un tavolo per commemorare Nick. Tutti cantano "God bless America" per lenire in qualche modo il dolore per perdita dell'amico, che è anche il disagio dell'intera comunità stretta intorno a lui: negli anni della presidenza di Jimmy Carter è il momento dell'autocritica degli errori compiuti e del rimpianto della Great Society.

Dal punto di vista estetico, Cimino ha la capacità rara di far parlare emotivamente il paesaggio. Del resto è lui stesso a dire che il paesaggio è un personaggio all'interno dei suoi film. Ne "Il cacciatore" la scelta delle ambientazioni sono pressoché uniche e mai filmate prima. Grazie anche al lavoro fatto sulla luce e sul colore da Vilmos Zsigmond, il paesaggio diviene materico e fisico, dove il sentimento umano è trasposto e interagisce con l'ambiente, e i personaggi si muovono all'interno di una messa in quadro sempre coerente con la loro evoluzione psicologica e la diegesi.

Le due sequenze della caccia, ad esempio, trasmettono il senso di infinito e solitudine con colori dalle tonalità fredde e chiare, tutte virate sul bianco e il verde delle montagne, l'azzurro chiaro del cielo. Il sentimento di libertà (di scelta e di conoscenza) dell'uomo, immerso nella natura, risalta ed è potenziato da campi lunghi e medi ariosi ed eleganti. Le sequenze interne - la fabbrica, il pub, la chiesa, il salone delle feste, i locali di Saigon e le strade riprese in notturna - virano invece su tonalità cupe, scure, con improvvisi scoppi di colore (l'arancione del metallo in fusione nella fabbrica; il bianco dei vestiti delle donne alle festa; le camice bianche e la fascia rossa nelle bische della roulette russa), alternando sentimenti di festa a drammi personali e fatica fisica. Il tutto giocato con movimenti della macchina da presa in piani sequenza ristretti e una gestione articolata e complessa del set (il matrimonio nella prima parte, appunto) oppure da primi e primissimi piani, drammaturgicamente intensi, messi in serie con campi e controcampi lenti e pensati nel resto del film.

Le sequenze della guerra invece hanno una fotografia virata su colori sporchi, girate con uno stile falso documentaristico, in un grande sforzo mimetico di forma e contenuto (il Vietnam è la Thailandia, Saigon è Bangkok; ma anche l'inverno in Pennsylvania è in realtà l'estate; le montagne fuori dal villaggio di Clairton sono fotografate nelle regioni delle Cascate al confine con il Canada), dove la precisione della messa in quadro diviene essenziale per la riuscita dell'opera e la trasformazione dalla realtà alla finzione cinematografica.

Le opere di John Ford, Akira Kurosawa e Luchino Visconti sono le fonti ispiratrici esplicite di Cimino, da cui ruba e rielabora come solo i grandi artisti sanno fare, mutuandone uno stile all'interno di un cinema classico, ma legato a temi moderni e personali. La caratteristica estetica peculiare del regista italoamericano è proprio nella capacità di mettere in quadro e gestire il genius loci: paesaggio naturale, ricostruzione scenografica e interazione dei personaggi con essi creano una sintesi cinematica imponente e grandiosa, epica, e allo stesso tempo malinconica, in assenza di eroi, ma fatta di uomini e delle loro emozioni.

Cimino ha fortemente voluto creare il mondo de "Il cacciatore" a sua immagine e somiglianza, secondo la sua sensibilità artistica, rincorrendo un sogno di creazione drammatica a discapito della produzione che aveva paura di tutto, combattendo scena per scena, frame per frame, per fare il film che aveva negli occhi ("Tagliavo quello che volevano e di notte ce lo rimettevo, è stata una vera guerra" afferma in una sua intervista pubblicata su "Positif" nell'aprile del '79). Prodromi di quello che sarebbe successo con "I cancelli del cielo" e di tutti i suoi film a seguire.

Con "Il cacciatore" Michael Cimino firma non solo uno dei più bei film di guerra  della storia del cinema, ma un capolavoro tout court, un film profondamente malinconico, in cui attecchisce la speranza di continuare a vivere da vinti e dove epica e intimismo si fondono in un'unica espressione estetica, creando un affresco emotivo che colpisce ancora oggi per la bellezza delle immagini e la ricchezza dell'impianto narrativo.


08/03/2014

Cast e credits

cast:
Robert De Niro, Christopher Walken, Meryl Streep, John Cazale, John Savage, George Dzundza, Chuck Aspergren


regia:
Michael Cimino


titolo originale:
The Deer Hunter


distribuzione:
Titanus


durata:
182'


produzione:
Universal Pictures, EMI Films


sceneggiatura:
Deric Washburn


fotografia:
Vilmos Zsigmond


scenografie:
Ron Hobbs, Kim Swados


montaggio:
Peter Zinner


costumi:
Eric Seelig


musiche:
Stanley Myers


Trama

Mike, Nick e Steven sono amici da tempo e lavorano in un'acciaieria di Clayton, Pennsylvania, e nel tempo libero cacciano cervi. Sono richiamati sotto le armi per essere spediti al fronte vietnamita, ma prima tutti gli amici partecipano al matrimonio tra Steven e Angela. In Vietnam i tre amici scoprono ben presto la crudeltà della guerra e riescono a fuggire da una brutale prigionia. Mike riesce a salvarsi; Steven è in un ospedale mutilato e infermo, mentre Nick diserta e si fa fagocitare dagli organizzatori della roulette russa a Saigon. Mike convince Steven a tornare a casa e ritorna a Saigon per recuperare Nick, ma riuscirà a portare a casa solo il cadavere di Nick dopo un’ultima mortale partita alla roulette russa.