Ondacinema

recensione di Eugenio Radin
7.0/10
A quattordici anni di distanza da "The Uninvited", riconosciuto al tempo come uno dei più terrificanti horror del lontano Oriente, la regista sud-coreana dall'aspetto esile ma dall'immaginazione hitchcockiana Lee Soo-youn ritorna sul grande schermo con una nuova e inquietante opera che ne sa mettere alla prova la capacità di scrittura nonché la destrezza stilistica.

Quando il solitario Seung-hoon, un medico piuttosto nevrotico, taciturno e cupo, reduce da un recente divorzio, si ritrova ad assistere a un'involontaria confessione omicida da parte di uno dei suoi vicini di casa intontito dagli effetti dell'anestesia, la sua abitudinaria vita ne rimane fortemente turbata: il ritrovamento di un cadavere decapitato sul fiume Han, che sembra corrispondere alla descrizione fatta dal vecchio paziente è il germe che fa nascere definitivamente il sospetto e che trascina in un batter d'occhio il protagonista e chi gli sta attorno in una spirale di ansie e tormenti psicologici che arriveranno a toccare il vertice dell'insanità mentale.

A metà strada tra "L'uomo senza sonno" e "Shutter Island", "Disgelo" (così suona la traduzione del titolo coreano originale) è un labirintico percorso che gioca con la psiche dello spettatore, indirizzandolo verso la ricomposizione di un puzzle criminale cui manca sempre un tassello e che si diverte nel rimanere in equilibrio sul confine tra realtà e allucinazione. Qui il mezzo cinematografico gioca un ruolo fondamentale nel rappresentare le angosce e le turbe psichiche dei protagonisti, le quali, proprio perché rappresentate, diventano reali e sanno confondere in tal modo il pubblico, che presto non sarà più in grado di intendere dove termina il fatto reale e dove comincia la follia.
E tuttavia questo classico procedimento da thriller psicologico (che richiama alla memoria anche altri titoli celebri del genere come lo "Spider" di Cronenberg o il "Seven" di Fincher) è eseguito con una grande capacità di gestione di ogni lato della messa in scena: se un ruolo di primo piano lo gioca la magistrale interpretazione di Cho Jin-woong, il cui personaggio disegna nell'evolversi della vicenda un climax di nevrosi dove ogni elemento della realtà circostante sembra indirizzarsi contro di lui, un encomio va rivolto anche al sapiente utilizzo della fotografia e delle luci, che collaborano in modo sostanziale alla creazione di una generale atmosfera di instabilità, ma che sanno dare anche una certa esteticità all'opera e che sottolineano con efficacia i giochi registici di Soo-youn, impegnati a mescolare assieme elementi onirici e realismo.

E tuttavia la volontà di trasmettere un essenziale senso di incertezza allo spettatore, il quale non può mai accomodarsi in una definitiva versione dei fatti, ma che è costantemente chiamato a interrogarsi, risulta alla fine eccessiva e termina in una catena di plot-twists dalla dubbia utilità, che contorce inopportunamente e che protrae una narrazione già efficace, allungando inutilmente il brodo seguendo un'inarrestabile volontà di stupire.

È in ogni caso notevole questo ritorno di una regista che si dimostra ancora in perfetta forma, capace di mostrare come anche il sesso femminile sappia rinunciare alla sua proverbiale gentilezza, per farsi portavoce di un cinema dai toni macabri, che non ha paura di mostrare le viscere (sono frequenti le disturbanti inquadrature delle colonscopie operate dal protagonista) e di angosciare ogni tipo di pubblico, seguendo i canoni di un genere per troppo tempo riservato al pubblico maschile.
24/04/2017

Cast e credits

cast:
Jo Jin-woong, Kim Dae-myung, Lee Chung-ah, Yoon Se-ah, Goo Shin


regia:
Lee Soo-youn


titolo originale:
Haebing


durata:
125'


sceneggiatura:
Lee Soo-yeon


fotografia:
Uhm Hye-yung


Trama
Nei torpori dell'anestesia un anziano paziente finisce per rivelare al suo medico macabri dettagli riguardanti un omicidio. Quando, durante il disgelo del fiume Han, viene ripescato il cadavere di una donna, i sospetti del dottore si fanno più forti