Ondacinema

recensione di Antonio Pettierre
6.0/10

In un futuro non troppo lontano l’ossessione per le celebrità è a un punto tale che i fan arrivano non solo a seguirne la vita intima in tutti i suoi risvolti, ma persino a voler provare le stesse malattie o mangiarne la stessa carne. Ecco che allora ci sono negozi che vendono “bistecche” delle persone famose fatte di loro cellule coltivate in vitro, oppure cliniche che offrono e inoculano i virus delle malattie dei personaggi famosi a chi ne fa richiesta: un herpes, un’influenza, un raffreddore, una malattia venerea o altro.

“Antiviral”, primo lungometraggio di Brandon Cronenberg, figlio del celeberrimo David, visto sugli schermi italiani solo in qualche rassegna, è un’opera che punta l’attenzione sulla società dello spettacolo di debordiana memoria, in cui il corpo del personaggio è oggetto-merce da sfruttare economicamente. Il giovane figlio d’arte sceglie di seguire il punto di vista di un operatore del settore: Syd March (Caleb Landry Jones), tecnico della Lucas Clinic, che ha sotto contratto la famosa modella e attrice Hannah Geist (Sarah Gadon). Syd passa le giornate a promuovere e commercializzare il virus delle star ai clienti, uomini e donne comuni che in questo modo si sentono vicine completamente ai loro idoli e possono vivere un’esperienza fisica estrema e totale.

La replicazione, la serialità della malattia, appare come la rappresentazione di un virus inoculato nel tessuto sociale, dove i portatori sono gli stessi esseri umani. E se c’è un mercato visibile, ne esiste anche uno illegale. Attraverso una macchina i virus sono personalizzati e sono resi non trasmissibili, ma Syd se l’inocula, li copia nel suo appartamento con una macchina rubata e ben nascosta in un doppio fondo dell’armadio, per poi rivenderli a uno “spacciatore”, un proprietario di un negozio che vende la carne composta dalle cellule coltivate in vitro dei divi.

Quando Syd s’inietta un virus che ha colpito di Hannah Geist scopre a sue spese che è mortale e che la diva sta morendo. Inizia una ricerca per trovare un antidoto e si scontra, oltre che con personaggi senza scrupoli del mercato nero, con i componenti di una clinica concorrente della Lucas, la Vole & Tesser in una guerra commerciale senza esclusione di colpi.  A poco a poco si svelerà il complotto della Vole & Tesser che ha creato un virus artificiale per infettare la Geist e poi brevettarlo. Nasce così una nuova frontiera, la vita oltre la morte, dove la diva sarà rinchiusa in un polmone d’acciaio e il suo corpo modificato da un virus che ne espande la carne e la mente, permettendole di comunicare con il mondo esterno attraverso un visore. Syd, in cambio dell’antidoto, diviene il capo tecnico della Vole & Tesser e responsabile del “nuovo prodotto”.

Viene messa in scena una società alienata e alienante, dove le persone comuni, per dare un senso alle vuote esistenze vissute, arrivano letteralmente a cannibalizzare le proprie divinità di carta e di immagini, che non hanno più diritto a una vita privata, ma sono trasformati in corpi da manipolare, mutare, trasformare, riprodurre all’infinito. Una realtà dove il virus mutante è inoculato nel tessuto sociale, un virus la cui malattia è l’assenza dell’individualità e la fusione psicologica con l’altro immaginato, costruito, proiettato. L’individuo in quanto tale ha perso il senso della realtà, egli stesso è portatore di una malattia sociale. La mutazione è completa e ciò che conta è convivere con la malattia che ti permette di restare in una perenne stasi tra vita e morte, in un eterno presente, senza più passato né futuro, ma solo dove la carne perde ogni confine fisico, trasformandosi in un vettore continuamente mutageno e in espansione.

“Antiviral” è fortemente debitore ai temi cinematografici di David Cronenberg: la carne e la sua mutazione; il virus come vettore di trasformazione sociale; la malattia che diviene l’emblema dello stato perenne dell’individuo. Brandon Cronenberg riesce a mettere in scena, con un certo interesse, la società anomica e distopica, dove l’immagine è carne, grazie anche alla scelta di un convincente protagonista come Caleb Landry Jones, sufficientemente emaciato ed efebico da portare sulle spalle l’orrore della situazione che vive.

Detto questo, il giovane Cronenberg (anche autore della sceneggiatura) compie una clonazione delle opere paterne. Anche la riproduzione dell’intreccio ricorda molto da vicino alcune sue opere come “Crimes of the Future”, “Il demone sotto la pelle”, “Scanners” e “Videodrome”. Brandon attualizza alcuni temi dei film del padre, ma rimane in un ambito di maniera e ancora con una voce acerba che non lo rende originale e innovativo. “Antiviral” appare così quasi un tributo, un atto di stima alla grandezza del genio paterno, come se Brandon vivesse e sentisse tutto il peso del confronto con una figura superiore alla sua e che alla fine risulta ingombrante.


09/11/2020

Cast e credits

cast:
Caleb Landry Jones, Sarah Gadon, Malcolm McDowell, Douglas Smith


regia:
Brandon Cronenberg


titolo originale:
Antiviral


durata:
110'


produzione:
Rhombus Media


sceneggiatura:
Brandon Cronenberg


fotografia:
Karim Hussain


scenografie:
Arvinder Grewal


montaggio:
Matthew Hannam


costumi:
Patrick Antosh


musiche:
E. C. Woodley


Trama
Syd March è un dipendente della Lucas Clinic, una clinica specializzata nella vendita di virus che hanno colpito le celebrità. Syd rivende i virus rubati e clonati sul mercato nero e in questo modo è infettato da un virus mortale. Per salvarsi inizia a indagare sulla strana morte della star Hannah Geist.