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recensione di Giancarlo Usai
7.0/10

Primo film in lingua catalana a vincere un Orso d'oro a Berlino, "Alcarràs - L'ultimo raccolto" è il secondo lungometraggio di Carla Simón, originaria di Barcellona e fortemente legata, per ragioni familiari, a quel mondo rurale che la ricca e prospera Catalogna ha smarrito negli ultimi 25 anni. Siamo di fronte a un monumentale affresco che guarda alla terra, alle radici di una società, alle origini di un'economia diventata florida negli ultimi decenni. E lo sguardo della regista è fortemente politico, nel suo lavorare di contrapposizioni, di contrasti fra vecchio (o, sarebbe meglio, antico) e nuovo, tra autentico e artificioso. "Alcarràs" è un'elegia di un mondo in decadenza e destinato all'oblio, ma anche un pamphlet colmo d'ira nei confronti di una società predisposta ad archiviare i motivi della propria nascita. Mentre la Catalogna si agita per una fantomatica indipendenza, sembra dire la Simón, sono altri i punti di riferimento che Barcellona e la sua regione stanno perdendo. In questo grande e ambizioso ritratto naturalistico, che ha dalla sua anche una lunghezza importante dato che si arriva alle due ore complessive, se proprio qualcosa funziona meno è una ideazione della storia fin troppo spudoratamente didascalica. Il conflitto tra i valori di un tempo a rischio, risalenti a un'epoca in cui bastava una stretta di mano di per passarsi la proprietà di un appezzamento di terreno, e la fascinazione per i nuovi business, come quello dei pannelli solari che garantisce "di fare più soldi lavorando di meno", è posta su un piano di una pressoché totale ingenuità narrativa. Ed è qui che l'opera seconda dell'autrice iberica perde la sua originalità.

"Alaccaràs" è però un film elegante e raffinato nella tecnica, lavorando coraggiosamente e quasi fuori dal tempo con piani fissi e panoramiche, andando a immortalare con piglio documentaristico la campagna, la natura, il duro lavoro nei campi, con una ricostruzione scenica meticolosa del lavoro agricolo, dall'irrigazione al raccolto, dalla disinfestazione alle trattative sindacali. Il montaggio assume un ruolo preminente in tutto questo, per la scelta della Simón di operare una osservazione al limite dello scientifico e dell'indagine antropologica. L'immagine, alla fine, viene depurata da ogni orpello e l'attività nei campi viene ripresa per quello che è, senza alcun tipo di alterazione. Se il dettaglio visivo, come si diceva, è puro e incorruttibile, diverso è il discorso per il senso stesso del narrato. Nella parola, nel significato più profondo dell'opera, l'autrice smarrisce a volte il modello più alto d'ispirazione e finisce per inscenare un racconto politico, la cui ideologia sottostante risulta in fin dei conti fin troppo esibita. La modernità che sovrasta la tradizione, il guadagno facile che soffoca il contatto con la terra, tutto questo risulta afflitto da un certo manicheismo: la Simón non vede sfumature nel suo procedere e accusa a spron battuto l'economia del progresso, rea di vacuità e foriera di futili illusioni. Come sempre accade in questi casi, non è l'oggetto della riflessione etica ad essere messo in discussione, ma la modalità con cui essa viene rappresentata. È nel linguaggio cinematografico che si fa la differenza, tra un principio espresso in modo superficiale e uno esposto con profondità di analisi. In questo sicuramente la regista catalana sconta una forma di appartenenza ideologica che la rende succube di un assunto di fondo che non è disposta minimamente a mettere in discussione.
La storia del cinema è costellata di tentativi simili: da Ermanno Olmi a Victor Erice sono molti i maestri che hanno tentato di dare vita sul grande schermo all'epopea della sofferenza, al nobile lavoro agricolo, microcosmo in grado di amplificare aspirazioni e paure dell'animo umano. Ma nel caso di "Alcarràs" a venire in mente è, anche per una vicinanza temporale, il cinema di Alice Rohrwacher, cui già in occasione della proiezione alla Berlinale il film spagnolo era stato accostato. Se l'ambientazione è la medesima e anche quel clima generale di passaggio epocale verso un nuovo mondo in grado di spazzare via il ricordo del passato, ad essere diverso è l'approccio alla materia filmata. Laddove la Rohrwacher trova puntualmente uno scarto espressivo insolito, uno sguardo originale capace di trasfigurare lo spazio rurale in qualcosa di metafisico trascendente la contemporaneità, la scelta della Simón vira verso un crudo e antispettacolare realismo visivo. In "Alcarràs", infatti, c'è questa macchina da presa incollata sul movimento fisico, quasi ossessionata dal catturare la reiterazione del gesto di fatica, fino a volerne tracciare una sorta di elegia cinematografica.

Tra alti e bassi, incertezze di scrittura e coraggiose opzioni stilistiche, il film rimane comunque ancorato saldamente alla compiutezza dei suoi protagonisti. Nel portare avanti un romanzo corale, infatti, la regista riesce a tenere il controllo di differenti caratteri e diverse reazioni ai cambiamenti in atto; in questo si verifica una sorta di paradosso, perché laddove la sceneggiatura, come dicevamo, soffre di un eccesso di schematismo, attraverso una caratterizzazione corretta dei protagonisti le sbavature di scrittura risultano edulcorate dalla partecipazione sincera di questo gruppo di attori non protagonisti. E così, il sudore e la stanchezza diventano non più meri baluardi ideologici, ma elementi insopprimibili e inscindibili da un lavoro e una vita che non lasciano vie di fuga verso la comodità.


09/06/2022

Cast e credits

cast:
Jordi Pujol Dolcet, Anna Otin, Xènia Roset, Albert Bosch, Ainet Jounou


regia:
Carla Simón


titolo originale:
Alcarràs


distribuzione:
I Wonder Pictures


durata:
120'


sceneggiatura:
Arnau Vilaró e Carla Simón


fotografia:
Daniela Cajías


scenografie:
Mónica Bernuy


montaggio:
Ana Pfaff


costumi:
Anna Aguilà


musiche:
Andrea Koch


Trama
La famiglia Solé trascorre l’estate raccogliendo pesche nel frutteto di Alcarràs, un piccolo villaggio della Catalogna. Ma il raccolto di quest’anno potrebbe essere l’ultimo poiché i nuovi proprietari intendono sostituire i peschi con pannelli solari e il sostentamento della famiglia è così minacciato...