Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
6.5/10

La produzione di film di genere, dal western nella sua declinazione spaghetti ai poliziotteschi, dal giallo all'horror, ha regalato discrete soddisfazioni al cinema italiano, anche più di quelle che la critica dell'epoca riuscì a concedere ai vari Bava, Fulci, Di Leo, Castellari. Rivalutata quella stagione in modo anche ipocritamente generoso, da quasi due decenni ogni volta che compare in sala un gangster movie, un poliziesco o un horror, si parla di "rinascita del cinema di genere italiano", tagline che in fondo va a braccetto con chi strilla alla rinascita del cinema italiano tout court dopo ogni nuovo film dei fratelli D'Innocenzo o un qualsiasi esordio un pelo sopra la media. Stefano Sollima, figlio di Sergio, lavora testardamente al rinnovamento dei codici del crime italiano, tra cinema ("ACAB", "Suburra") e serialità ("Romanzo criminale", le prime due stagioni di "Gomorra - La serie" e "Suburra - La serie"). "Adagio", nelle intenzioni del regista, chiude una informale trilogia criminale di ambientazione romana.

Una ripresa a volo d'uccello inquadra Roma dall'alto: l'asse viario attraversato dai fanali delle vetture, le luci della città e, in lontananza, un incendio che divampa sullo sfondo. Improvvisamente un blackout che, come una macchia d'olio, s'allarga finché tutte le illuminazioni non sono inghiottite dall'oscurità; solo le lingue di fuoco restano accese. Interessante l'assonanza con l'incipit di "L'ultima notte di Amore", in cui un pianosequenza (realizzato da un elicottero) attraversa la città di Milano, un virtuosismo quello di Andrea Di Stefano che manca alla ripresa effettuata col drone da Sollima: il movimento nell'apertura di "Adagio" è lento, l'inquadratura definisce l'ambientazione, la cornice in cui entriamo.
Manuel (Gianmarco Franchini), un ragazzo che si occupa del padre (Toni Servillo), un anziano delinquente chiamato Daytona ora affetto da demenza, va a un'affollata festa in pieno centro dove ci sono tanti giovani e giovanissimi e droghe dappertutto. Manuel deve scattare delle foto per conto di un gruppo (guidato da Adriano Giannini) che lo sorveglia e lo tiene in pugno; questi stanno rendendo un servigio a qualcuno di potente che desidera delle prove video che possano compromettere l'anfitrione che ospita la festa. Nel momento in cui Manuel capisce di essere ripreso (e quindi ancora ricattabile) scappa rifugiandosi da un amico del padre, il non vedente Pòl Niuman (Valerio Mastandrea). Questi lo spedisce da un terzo loro amico, da poco uscito di galera, soprannominato Cammello (Pierfrancesco Favino). 

"Adagio" dipana il proprio intreccio attraverso le azioni di un piccolo coro di personaggi le cui collisioni provocano l'escalation narrativa. In modo non dissimile da quanto accadeva in "Suburra", Sollima moltiplica i giocatori e allarga il raggio dell'azione narrativa: il ragazzo che vuole salvarsi, la squadra corrotta che non vuole essere smascherata, tre banditi, invecchiati e malandati, che si frappongono alla caccia e quasi si passano il testimone per aiutare Manuel. I movimenti secchi e lineari della macchina da presa seguono i protagonisti per le strade di una Roma popolare e priva dell'usuale fascino monumentale. È infatti l'atmosfera prossima alla distopia a rendere particolare la consueta ambientazione capitolina: le fiamme degli incendi impossibili da spegnere, le colonne di fumo, la cenere che di tanto in tanto si vede volare, il caldo torrido che non fa dormire Cammello. Questi dettagli carichi di attrattive rischiano però di restare segni piatti sullo sfondo o espedienti narrativi, perché non sempre e non adeguatamente sfruttati dalla regia di Sollima. Infatti, ogni tanto, qualche personaggio deve ricordarci che è o pare "la fine del mondo" - sotto quest'ottica era più completa la descrizione che in "Gatta Cenerentola" mostrava una Napoli tra incendi, immondizia e cenere nell'aria. 

Basta poco per capire che Daytona, Pòl Niuman e Cammello sono ex-membri della banda della Magliana, ormai invecchiati ed emarginati, e che il regista sta mettendo in scena l'adagio di quell'epica criminale. Ciascuno ha il suo assolo, il suo momento di gloria e, anche se Favino che interpreta Cammello malconcio e caracollante, rasato a zero e senza sopracciglie, rischia di cannibalizzare la scena, le sequenze puramente di genere migliori di "Adagio" appartengono agli altri divi italiani. La prima tra queste ha come set l'appartamento di Pòl Niuman in cui sopraggiunge il personaggio di Giannini: Sollima inquadra Mastandrea seduto a tavola in campo lungo, la fotografia di Paolo Carnera lo lascia in penombra tanto che è difficile distinguerne i tratti del volto. All'improvviso la loro conversazione è interrotta da un blackout e l'oscurità viene trapassata dai lampi di un conflitto a fuoco: così, senza preavviso e con freddezza, in quella che è la cifra estetica scelta da Sollima. La seconda scena è un semplice gioco di prestigio di montaggio in cui Daytona, pedinato, attraversa e riattraversa la strada finché, sfruttando il transito di un furgoncino, non scompare per riapparire da tutt'altra parte. 
Sollima, coadiuvato in sede di scrittura da Stefano Bises, costruisce "Adagio" su un binario intrecciato: uno propriamente crime, un altro più convenzionalmente drammatico e basato sulla relazione padre-figlio; il primo cinico e violento, il secondo sentimentale. Il presente rappresentato da Manuel (e dagli altri figli presenti nel film) è rincorso da un passato rappresentato dalla generazione dei genitori, a cui appartiene anche il corrotto personaggio di Giannini (padre premuroso per i suoi due figli). Il presente se vivrà abbastanza potrà redimere il futuro, mentre il passato è "condannato" a un percorso di autodistruzione. 

Dopo l'esperienza americana iniziata con "Soldado", proseguita con "Senza rimorso" e con la coproduzione internazionale della serie "ZeroZeroZero", "Adagio" è il ritorno a casa di Stefano Sollima. Non segna però l'esplosiva chiusura del cerchio, come ci si poteva attendere; è piuttosto un interessante e imperfetto esercizio all'interno dei codici di genere da parte di un regista che non manca di ambizione. Un film dove l'atmosfera conta più dell'intreccio, le facce degli attori più dell'azione.


25/09/2023

Cast e credits

cast:
Gianmarco Franchini, Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Adriano Giannini, Francesco Di Leva, Lorenzo Adorni, Silvia Salvatori


regia:
Stefano Sollima


distribuzione:
Vision Distribution


durata:
127'


produzione:
The Apartment, Alterego, Vision Distribution, Sky, Netflix


sceneggiatura:
Stefano Bises, Stefano Sollima


fotografia:
Paolo Carnera


scenografie:
Paki Meduri


montaggio:
Matthew Newman


costumi:
Mariano Tufano


musiche:
Subsonica


Trama
Manuel ha sedici anni e cerca di godersi la vita come può, mentre si prende cura dell’anziano padre. Vittima di un ricatto, va a una festa per scattare alcune foto a un misterioso individuo ma, sentendosi raggirato, decide di scappare, ritrovandosi invischiato in questioni ben oltre la sua portata. Infatti i ricattatori che lo inseguono si rivelano essere estremamente pericolosi e determinati a eliminare quello che ritengono uno scomodo testimone e il ragazzo dovrà chiedere protezione a due ex-criminali, vecchie conoscenze del padre.